I sentimenti sono universali. Che si tratti del più banale amore o del più forte odio, questi sono universalmente riconosciuti da tutti, e da tutti sono interpretati, vissuti ed esternati in modo unico. Il tutto che racchiude il singolo, o forse il singolo che crea il tutto. Un tutto spesso più forte di noi stessi e della nostra volontà. Come quando mestamente indietreggiamo quando, sbagliando, proviamo vergogna, o come quando apertamente urliamo quando proviamo rabbia, o anche quando ci rifugiamo nei nostri mondi quando smettiamo di capire, smettiamo di comprendere e forse di amare.
Ah no, la mia non è una lezione sui comportamenti emozionali. Son certa che Freud avrebbe potuto esprimere questi concetti al meglio. E chissà che lo stesso Freud non ne abbia parlato con Schnitzler ispirandolo nella creazione di una storia che si muove tra realtà e sogno, ma che ha come protagonisti proprio loro, i sentimenti. Doppio Sogno è una doppia novella, come amava definirla il suo autore. I protagonisti, Fridolin e Albertine, non sono che la chiave di volta di un racconto nato per scavare nella psiche umana e comprenderla, attraverso il sogno e il più famoso dei sentimenti, l’amore.
La quotidiana realtà domestica di due medici, sposati, felici e belli è sconvolta dalla scoperta più dura per un amore, il tradimento. Questi non è che il sintomo di una profonda incomprensione tra i due che giorno dopo giorno, navigando sott’acqua, come un malessere, li ha portati al silenzio e al distacco reciproco. Sebbene il tradimento sia solo un “sogno” per la moglie Albertine, Fridolin non può che rimanerne agghiacciato e turbato.
Attraverso disinganni e desideri insoddisfatti Fridolin compirà un viaggio onirico nella propria mente e nel proprio io, scoprendo un’identità in bilico e una persona a lui sconosciuta, se stesso. Un ballo in maschera, una prostituta, un’orgia, un filo sottile che separa il sogno dalla realtà e che lo porta verso l’alienazione, verso quel territorio incerto tra conscio e subconscio.
Un viaggio nella profonda consapevolezza delle proprie angosce, dei desideri repressi, delle aggressività e dei dubbi che si celano dietro quel sipario che separa il palco dalle quinte.
Ciò che è da ciò che viene mostrato.
Il suo peregrinare termina nella camera mortuaria dove lavora e dove stavolta si trova faccia a faccia con il suo io, o meglio col corpo di una ragazza al quale riesce a confessarsi e a confessare ciò che è stato, ciò che sente. La ragazza è la compagna di una notte brava, di un sogno erotico mai realizzatosi, di mille pensieri e fantasie, ma chiunque rappresentasse quella ragazza prima, ora non è che “il cadavere pallido della notte passata, destinato irrevocabilmente alla decomposizione”.
In questo modo la maschera improvvisamente caduta fa uscire allo scoperto il suo viso che per la prima volta riesce a guardare dinanzi a sé, riesce a guardare quella realtà che aveva sempre negato. Ormai inerme non gli resta che distendersi accanto alla moglie, dormiente nel loro nido matrimoniale, pensando ad un nuovo giorno da affrontare insieme.
“Che dobbiamo fare, Albertine?”. Lei sorrise, e dopo una breve esitazione rispose: “Ringraziare il destino, credo, di essere usciti incolumi da tutte le nostre avventure… da quelle vere e da quelle sognate”. “Ne sei proprio sicura?” chiese Fridolin. “Tanto sicura da presentire che la realtà di una notte, e anzi neppure quella di un’intera vita umana, non significano, al tempo stesso, anche la loro più profonda verità”. “E nessun sogno” disse egli con un leggero sospiro “è interamente un sogno”. Albertine prese la testa del marito fra le mani e l’attirò affettuosamente a sé. “Ma ora ci siamo svegliati…” disse “per lungo tempo”. Per sempre voleva aggiungere Fridolin, ma prima ancora che pronunciasse quelle parole, lei gli pose un dito sulle labbra e sussurrò come fra sé: “Non si può ipotecare il futuro”.