Nanà era sola, con la faccia volta in alto, nella luce della candela. E non era che un carname, un ammasso di umori e di sangue, una palata di carne marcia gettata là su un cuscino
Chi è Nanà? E’ la protagonista di un romanzo che porta il suo nome, romanzo dello scrittore Emile Zola che nel 1880 pubblica il nono lavoro del ciclo dei Rougon-Macquart.
Nanà è una giovane donna, bellissima; Nanà è la figlia di un lattoniere e di una lavandaia; Nanà è un’artista di varietà; Nanà diventa una prostituta: sembra che in realtà sia stata trascinata dagli eventi, dalla miseria e della voglia di evadere da una realtà che le andava stretta ma Nanà quegli eventi li ha controllati, riuscendo a sfruttare ciò che la natura le aveva dato e prendendosi ciò che non aveva mai avuto;
Sa di poter sfruttare il suo corpo e lo fa senza troppi scrupoli prima mettendosi al servizio dell’arte, poi conscia del fatto di non essere brava nè nel canto, nè nella danza, offre sè stessa al miglior offerente, a chi ha più denaro, a chi ha più peso sociale.
Nanà non si innamora, non ci riesce: piuttosto prova disprezzo nei confronti dei suoi amanti, verso il timido conte Muffet o il capitano tesoriere Hugon o il presuntuoso La Faloise, tutti comunque investiti di cariche importanti o vicini all’imperatore.
Ama se stessa direbbe qualcuno, solo se stessa…ma non credo; ad un’analisi attenta del romanzo si evince quanto sia lontana dal provare sentimenti di affetto o di stima anche nei confronti della sè che sta costruendo nel tempo, alla sè che maturando, invecchiando, si allontana da qualsiasi briciola di moralità e porta a compimento il suo processo di depravazione fisica e sociale.
Cosa l’ha portato a questo? Perchè lo scrittore Zola con tanto naturalezza, mai scivolando in sentimenti di pietà e commiserazione, mai lasciandosi andare a languide riflessioni su quanto fosse diventata povera nell’animo Nanà, ha voluto darle una vita, raccontandone la storia?
Si scaglia contro la piccola borghesia parigina lo scrittore, così come la protagonista si serve delle sue velleità fisiche, bellezza e giovinezza per attirare gli uomini e ricavarne quanto più possibile dalle loro tasche.
Lei, aveva un’altra cosa, una piccola sciocchezza di cui si rideva, un pò della sua nudità delicata, e con quel nonnulla, vergognoso ma tanto potente, la cui forza sollevava il mondo, da sola,senza operai, senza macchine inventate dagli ingegneri, aveva sconvolto Parigi e costruito quel patrimonio sul sonno di cadaveri
Nanà ha un figlio, Luigino, conseguenza delle sue abitudini sessuali, creatura verso la quale la donna si sente legata ma non certamente quanto ci si aspetterebbe da una madre; è sicuramente l’unico essere maschile verso il quale non prova ribrezzo, che non lascia in balia dei suoi sentimenti buttandolo via come un fazzoletto usato, ma non è viscerale il suo sentimento, non lo è per il figlio, non lo è per se stessa, non lo è per la vita se non quella di lustrini e ori del mondo dello spettacolo, della Parigi borghese.
Nanà muore di vaiolo, da sola, come la sua indole l’ha portata ad essere nel corso degli anni, glaciale, disperata, senza soldi, in una orribile stanza d’albergo: fuori si sentono le grida per la dichiarazione di guerra della Francia alla Prussia, dentro, in quella camera, in quel corpo di donna vissuta, la guerra sta finendo…una guerra contro la società, contro il costume, contro la povertà, che l’ha vista in prima linea, che ha lasciato feriti e morti sulla sua via, che l’ha resa infelice in quella inappagata voglia di riscatto.