Alcuni settantenni si dedicano alla filatelia, qualche arzillo più intraprendente alle carte, povere creature si dedicano all’imbarbarimento con i programmi di Barbara (la D’urso). Certo molti continuano a lavorare, produrre, creare: lui ha fatto di più. Sam Savage ha realizzato il sogno di orde di giovani scrittori, ha creato un caso letterario, volgarmente ha fatto il botto.
Firmino nasce metaforicamente dalla penna del suddetto e narrativamente da mamma Flo, un ratto obeso ed alcolizzato. La nidiata è composta da tredici glabri e dispotici fratelli ma le mammelle sono solo dodici, che fare dunque per la sopravvivenza?
Regola fondamentale: guardarsi intorno.
Flo poco prima del parto trova rifugio in una biblioteca e crea un giaciglio per se e per i cuccioli strappando fogli dai libri che la circondano, Firmino se ne nutre. Come non comprenderlo, capisce di saper leggere, è intelligente, soddisfa i suoi bisogni utilizzando lo stesso oggetto, nutre la sua anima ed il suo corpo allo stesso tempo, i testi che legge sono più buoni proporzionalmente alla loro qualità.
Lo capisco profondamente, avrei mangiato senza rimorsi “Nessuno scrive al colonnello” se fossi stata certa che mai lo avrei digerito e della non veneficità di inchiostro e rilegatura. Firmino non è solo un topo che sa leggere, è un personaggio dilaniato, desideroso di un’amore che la genitrice ed i germani non possono offrirgli, vorrebbe poter portare all’esterno i suoi sentimenti, il suo grande mondo interiore. Non può parlare: come fare dunque a ricevere la comprensione della sua unicità da parte di Norman, il proprietario della biblioteca e da Jerry, scapigliato e talentuoso scrittore? Di qui il tormento del mini-postmoderno-Copperfield.
Eccolo, in agguato, pericolosissimo, IL TRANSFERT.
Chi non si è sentito, perlomeno una volta nella vita, incompreso e superiore? Noi stupidi non sappiamo mai di esserlo. “Stupido consapevole” è un ossimoro. Ecco spiegata la delusione quando l’eroe di cinquanta centimetri o giù di lì si rivela un pervertito, ecco la commozione quando Norman lo rifiuta, un uomo qualsiasi disgustato da una pantegana eppure, visceralmente, quell’uomo quasi calvo lo detesti, in una connessione quasi empatica. Al di là di una serie giustificata di critiche, credo sia stata proprio la mole di aspettative creatasi attorno all’opera che ha comportato alla fine la delusione di molti. È una storia interessante, contiene molteplici digressioni che, come le madeleines di Proust, ti riportano ai momenti in cui leggevi un certo tomo, la figura del protagonista è senz’altro originale e coinvolgente, null’altro però. Non è la Bibbia del lettore metropolitano, non è il manifesto dell’insoddisfazione culturale. Dunque, come spesso accade, chi si sente deluso in realtà vede disgregarsi una costruzione che nessun’altro che lui ha eretto. Assegnare a qualcuno o qualcosa qualità o vizi che non gli appartengono è esercizio pericoloso quanto inutile..
la differenza tra assumere una maschera,che è sempre un’occasione di libertà, e averla imposta è la stessa che intercorre tra un rifugio e una prigione.
Dedicarsi alla speculazione intellettuale, alla lettura, al pensiero riflessivo è ozioso, quell’otium tanto affascinante ai tempi degli studi di scuola superiore, di questo Firmino è prototipo. L’indagine sul sé è un esercizio a tratti doloroso, scendere alle proprie radici nulla ha a che fare con lo stretching, è molto più doloroso, anche di questo il protagonista è un topo(s).
Mi domando però: perchè chiedere ad un ratto di essere una sorta di messia delle nuove generazioni, un guru dei lettori appassionati? Io mi sono goduta questo piccolo viaggio: il capolavoro lo cercherò un’altra volta.