La storia è scritta dai vincitori, è un fatto incontrovertibile, una premessa quasi inutile la mia, me ne scuso. Alle elementari c’hanno raccontato una favola, corredata di tutto il necessario, eroi, antieroi, perfino una colonna sonora.. ” Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba…” Da dove nasce allora tutta questa difficoltà nel sentirsi italiani? Chi potrebbe affermare, onestamente, di avvertire con la stessa intensità il senso di appartenenza alla propria città e quello alla propria nazione?
Il perchè risiede nelle pieghe di quella favola, le pagine stralciate dalla narrazione che Giordano Bruno Guerri decide di riportare alla nostra attenzione. Non è facile il suo compito, vi è il pericolo di essere tacciati di non voler bene alla nostra bella Italia quando si compie una scelta di onestà al posto di una di semplice riverenza. Onestamente non ho ravvisato nel suo libro uno spirito antinazionale, bensì una critica allo sciovinismo ad ogni costo ed il tentativo, piuttosto brillante, di dare una spiegazione alle tante discrasie esistenti tra nord e sud, alle molteplici difficoltà che si sono incontrate finanche nella semplice decisione di fare del 17 marzo una festa nazionale.
Esplicativo il titolo “Il sangue del sud”, Giordano Bruno ripercorre la storia operando un’inversione del punto di vista, non di un moto popolare trattasi ma di una conquista. Al sud il sentimento italico venne esportato, con la forza, il rimando a vicende più recenti è abbastanza ovvio ma questa è un’altra storia. I protagonisti più noti del Risorgimento, gli eroi, vengono contestualizzati. D’Azeglio considerava il meridione culla di malattie più che di civiltà, Cavour, uomo di raffinata intelligenza, aveva una visione piuttosto nordista e guardava al sud come ad una complicanza, Garibaldi non potè rispettare gli impegni che aveva preso con i Mille ed uscì piuttosto malconcio dalla spedizione. Una vera rivoluzione la compie poi Guerri nel dare un nuovo volto al fenomeno del brigantaggio, non bande armate di sanguinari bruti mossi da nessuno spirito ma, popolazioni che si sentivano offese, o meglio, oggetto di un’offensiva, impossibilitate all’autodeterminazione. Eccezionale poi per la prima volta l’ingresso sulla scena delle “brigantesse”che, più ancora che Carmine Crocco storico brigante capo dei rivoltosi, sono state dimenticate dalla storia ufficiale. Guerri e tutt’altro che uno sciocco e mostra, con assoluta lucidità, le trame dei Borboni e del papato che hanno appoggiato i ribelli fintantochè non è apparsa chiara la disfatta.
Nulla che abbia a che fare con gli essere umani può essere scevro da faziosità, questa recensione ovviamente non fa eccezione. Raramente concorde con le sue opinioni, nutro nei confronti di Giordano Bruno Guerri una profonda stima. Voglio trarre dal suo lavoro una morale, scegliendo io stavolta di usare un elemento delle favole, anche se è sempre stata la parte che detestavo. L’unità desidero festeggiarla, sono orgogliosa di essere italiana, non sempre questa cosa ci è resa facile in tempi di bunga bunga. D’Azeglio disse “fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”, qui forse risiede l’errore, non sono altri a dover creare un sentire, sono gli italiani a dover creare gli italiani.