Ha consacrato la propria vita alla letteratura, diventandone quasi una sacerdotessa laica.
Tra i geni narrativi del secolo XX, certamente Elsa Morante occupa un seggio di importanza non trascurabile. E non potrebbe essere altrimenti. Protagonista del panorama letterario italiano successivo alla Seconda Guerra Mondiale (nasce nel 1912 e muore nel 1985), la Morante ha vissuto la letteratura in modo appassionato e drammatico, cercandovi dentro un desiderio incontrastato di bellezza, grandezza e sensualità emotiva: in breve, identificandola come un luogo di totalità, come la sua stessa vita.
È stata una delle pioniere di quella “letteratura al femminile” che si è manifestata, in tempi e modi diversi, un po’ in tutta Europa. La Virginia Woolf italiana.
La progressiva modificazione della condizione femminile costituisce, infatti, uno degli effetti più essenziali dei processi di trasformazione che hanno interessato nel Novecento i paesi industriali. La sempre maggiore autonomia acquisita dalla donna in tutti i campi della vita sociale, pubblica e privata, si è manifestata naturalmente anche nel campo della cultura, un terreno da sempre più coltivato dal genere maschile. E ciò soprattutto in conseguenza della maggiore alfabetizzazione. La donna tende così, a poco a poco, a ritagliarsi un proprio spazio nella creazione artistica e letteraria, con dei risultati di portata straordinaria. L’apporto è grandissimo. La “scrittura al femminile” appare subito capace di esprimere dall’interno un’esperienza ed una sensibilità nuove: balzano in primo piano la sottigliezza dell’indagine psicologica e l’analisi della vita familiare.
Caratteri, questi, che hanno un ruolo preponderante nel primo dei quattro romanzi che hanno scandito il percorso artistico della Morante, ossia Menzogna e sortilegio, pubblicato da Einaudi nel 1948. È la storia tormentata di una donna, Elisa, che rivive in prima persona il dramma di una vita familiare vissuta tra mille difficoltà ed incertezze. Il centro dell’azione si sofferma sulla madre Anna, che si innamora del ricco cugino Edoardo, il quale però le preferisce una prostituta, Rosaria. Anna consuma allora un infelice matrimonio con Francesco, giovane di modesta condizione, ma animato da grandi ideali. Elisa, frutto di queste nozze, vive un’ infanzia difficile, senza l’affetto della madre, i cui pensieri sono sempre rivolti verso l’amato cugino. Dopo tragiche vicende, che vedono la morte di vari personaggi, la protagonista viene accolta nella casa di Rosaria e, di fatto, da lei cresciuta. Fino a quando, dopo la sua morte, decide di raccontare tutta la vicenda.
Menzogna e sortilegio imprime il marchio di fabbrica di Elsa Morante: vicende di vita concreta, nodi psicologici mai sciolti, atmosfera sospesa tra realtà e sogno, cinismo e fiaba, “menzogna” e “sortilegio”, appunto. È con tono fiabesco, infatti, che viene narrato e minuziosamente analizzato quanto di meno fiabesco c’è nella società borghese del Novecento: l’ipocrisia, l’inettitudine, le banali avventure di sesso e amore che hanno sfasciato intere famiglie. Elisa, la protagonista, nel rivivere il passato cerca invano di riannodare la trama della sua vita, cercando in qualche angolo nascosto una giustificazione, una consolazione al senso di vuoto che la pervade: ritrova invece ciò che pesa sul suo presente, e cioè la mancanza della madre, la perdita di sè, il perenne trionfo della maschera.
Il tutto, naturalmente, è posto sotto la lente d’ingrandimento della donna, che trasferisce al testo una sensibilità tutta particolare.
Ma Menzogna e sortilegio è un romanzo al femminile anche perchè , alla fine, gli uomini si rivelano dei vinti. Lo è Francesco, lo è Edoardo, entrambi sconfitti da debolezze di carattere e mali incurabili. Mentre, paradossalmente, Rosaria, la prostituta, diviene, quasi suo malgrado, la figura maggiormente positiva e morale. Anche questo è il potere delle donne.