Jaroslav Hašek è stato definito da alcuni un anarchico, un sovversivo, ed allora perché non sovvertire quello che dovrebbe essere l’ordine di una recensione.
Parto dunque da quella che dovrebbe essere la fine: chi possiede voglia e tempo deve leggere questa raccolta di racconti. Non conoscevo questo autore né la sua opera e, come spesso accade, come tutti gli appassionati lettori sanno, alle volte non siamo noi a cercare un libro ma è lui a cercare noi, e così mi è accaduto. Jaroslav, per il quale in questo momento utilizzo il nome di battesimo, con la presunzione di un rapporto intimo tra noi che solo chi dopo aver letto ed amato un libro può capire, mi è venuto a cercare. Non si tratta di uno scrittore conosciuto ai più, soffrendo forse della vicinanza di troisiana memoria, di uno scomodo vicino di pianerottolo, l’immenso Kafka, ma, questo è certo, la sua fama non è proporzionale al suo talento. Anarchico, anti-istituzionale, ribelle, a tratti un buffone nel senso più nobile di questa parola… innanzitutto un acuto osservatore che, con il filtro del suo talento, scocca fendenti alla società asburgica. Le sue armi i suoi racconti, le sue munizioni uno humor a tratti nero, una satira ondosa che nasce sottile e la cui risacca può divenire violenta, un’ironia fuori del comune.
Humor-satira-ironia, tre termini abusati e confusi nel linguaggio comune ma dissimili in realtà, una sorta di uno e trino, e questa trinità permea l’intera raccolta, attraversa ogni racconto, quasi come fosse una sorta di moto religioso. La religione di Hasek però, al contrario di quello che suggerirebbe il significato proprio del termine, è la teologia della dissacrazione.
I racconti si snodano e seguono una trama temporale, camminano con l’autore, alcuni puramente irrisori, a tratti leggeri , che strappano piacevoli risate, seguiti da altri in cui vi è una satira sociale pregna di significato, che pur non smettendo di sollazzare il lettore divertito lo inducono ad una riflessione più profonda. Leggere questo libro si presta a più piani, da leggere in metropolitana, stando attenti a ridere con educazione, senza mai dimenticare che ridere non è necessariamente sinonimo di superficialità e che il buffone, il giullare, è alle volte il più accanito detrattore del potente. Eccolo il capo comico, irrompe sulla scena, a tratti miserevole a tratti sadico, protagonista di alcune delle sue storie, acerrimo nemico di potere, stupidità e specialmente nella comunione tra i due.
I racconti si lasciano leggere, il piacere e la riflessione si fondono ed il godimento degli stessi diventa operoso, ci si gratifica cioè di una lettura divertente, ben scritta e che lascia un segno.
In definitiva spero che Jaroslav,ecco che torna la nostra confidenza, acquisti presso gli amanti della narrativa del nostro paese, il posto in libreria che gli spetta e, magari per una volta, lo si potrebbe sistemare in uno scaffale più visibile di quello di Franz.