Politica e letteratura: un binomio dal fascino indiscusso, che dalla civiltà greco-romana ad oggi è stato un leitmotive di indubbio successo. Detto in altri termini, sciolto il sintagma, il concetto appare certamente più chiaro e lascia intravedere lo spessore minimo di quella linea di confine che separa le due entità.
Perchè la letteratura, come la politica, è veicolo di idee.
E in questo contesto il capolavoro europeo del XX secolo è senza dubbio Animal Farm, il romanzo di George Orwell concepito nel 1937 e conluso nel 1943, ma pubblicato solo nel ’45, dopo la fine della seconda guerra mondiale. Per il suo contenuto e il suo significato, infatti, decisamente satirico e irriverente nei confronti dell’Unione Sovietica, all’epoca alleata della Gran Bretagna contro l’asse nazi-fascista di Hitler e Mussolini, l’opera non avrebbe potuto trovare pubblicazione. In Italia viene tradotto due anni dopo, nel 1947, con il titolo La fattoria degli animali.
La geniale invenzione narrativa di Orwell sembra riallacciarsi alle favole di Fedro. In esse, infatti, protagonisti erano gli animali, ma dotati di una caratteristica peculiare del genere umano: il linguaggio. Soprattutto, le favole erano brevi narrazioni di natura esemplare, dalle quali non si poteva, ma direi si doveva trarre una morale, condivisa dalla maggior parte della comunità. L’estro di George Orwell attinge a questa antica ed illustre tradizione, allargandone i confini a misura dei suoi tempi e delle ideologie.
Durante una notte, nella campagna inglese, gli animali della fattoria del signor Jones si riuniscono. Il Maggiore, un maiale saggio e pieno di esperienza, tiene una riunione con tutti gli animali, descrivendo il suo sogno di una fattoria libera dal giogo dell’uomo, l’unico animale che consuma senza riguardo e domina sugli altri. Inizia così la ribellione. Dal romanzo, palese allegoria del comunismo e della sua iperbole tirannico-stalinista, emerge quanto mai netta la delusione e la disillusione del suo autore nei confronti di un’ideologia alla quale aveva fortemente creduto. Ma, più in generale, la delusione è nei confronti di qualsiasi rivoluzione, i cui messaggi e propositi iniziali vengono, di fatto, puntualmente soppressi, in una triste, cinica e crudele catena che vede l’oppresso diventare poi l’oppressore.
Naturalmente l’esperienza di vita ha avuto il suo peso determinante nella creazione letteraria e artistica. Come sempre. Orwell, socialdemocratico e laburista, aveva combattuto nella guerra civile spagnola tra le file del POUM, partito d’ispirazione trotskista chè subì dure persecuzioni da parte degli uomini di Stalin, identificato come colui che ha, di fatto, distrutto il sogno socialista di una società dove ciascuno fosse uguale all’altro. Nel romanzo il dittatore veste i panni di Napoleon, un maiale opportunista ed ipocrita, che caccia Palla di Neve (Trotskij) e mette in moto contro di lui una spietata campagna di diffamazione e calunnia che gli fa perdere credibilità agli occhi delle pecore, facilmente identificabili con la plebe ignorante, che nei regimi si lascia letteralmente soggiogare dal più forte. E gli strumenti che utilizzano i maiali sono gli stessi dei dittatori: spicca su tutti il controllo dell’informazione attraverso la propaganda, la conseguente dis-informazione e persino la manipolazione di ciò che c’è di più umano nell’uomo: l’emozione.
Si ritornerà così alla situazione iniziale, nella quale un solo tipo di animale comanda su tutti.
Splendida trasposizione letteraria di una disillusione storica, il romanzo, al confine tra utopia e distopia, assurge a metafora della fisiologica degenarazione di qualsiasi rivoluzione. E il motto finale ha il suono di un riso cinico e sarcastico, eppur del tutto condivisibile. È la legge della diseguaglianza umana.
Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.