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Letteratu presenta “Labeling”, un racconto di Marco Modugno

Buon inizio settimana a tutti!

Oggi ho deciso di sottoporre alla vostra attenzione un racconto che personalmente ho trovato interessante e ricco di spunti di riflessione:  Labeling di Marco Modugno.

Con questa storia, l’autore partecipò a un concorso nazionale di cortometraggi nel 2000. Marco stesso ci ha raccontato che il suo sogno sarebbe stato proprio quello di lavorare nel mondo del cinema come sceneggiatore, soggettista o regista.

Dicevamo, Labeling. Vale la pena soffermarsi sul senso di questa parola che –italianizzata- suonerebbe come “processo di etichettamento”.

La teoria dell’etichettamento è una teoria sociologica che focalizza l’attenzione sul processo di costruzione del criminale non occasionale che sarebbe favorito, in maniera involontaria e paradossale, proprio dalla reazione della collettività e delle istituzioni.

Secondo questa teoria, quindi, la diffidenza, la disistima e la stigmatizzazione da parte della collettività unita all’isolamento e all’esclusione sociale sono in grado di modificare la percezione di sé da parte del criminale, tale  da innescare un processo in grado di trasformare l’autore vero (o presunto) di un singolo reato in un delinquente cronico.

La teoria dell’etichettamento è stata utilizzata anche da coloro che contestano la medicalizzazione facile di certi tipi di disagio mentale e in generale viene usata in tutti gli ambiti nei quali si potrebbe indurre l’effetto della profezia che si autoavvera.

Secondo il sociologo Thomas Scheff, ad esempio, la malattia mentale ha in molti casi origine sociale e l’etichettamento produce spesso effetti deleteri.

In America, tra coloro che accusano la psichiatria come “falsa scienza” c’è Thomas Szasz. Sul sito del Professor Szasz si legge: “Tutti sono i benvenuti nel partecipare alla lotta per la libertà individuale e l’autodeterminazione personale, specialmente quando questi valori sono minacciati dalle idee e dalle macchinazioni della psichiatria.”

Digitando il nome del Professor Szasz su YouTube potrete ascoltare con le vostre orecchie un suo bellissimo discorso di cui vi incollo qui parte del testo:

Quando ti dicono che tuo figlio è malato e deve prendere farmaci come fai a sapere che è solo una bugia? Come puoi renderti conto che quel che gli esperti chiamano disturbo da deficit dell’attenzione ed iperattività non è una malattia? Ora, una madre non è una esperta della storia della Psichiatria. Non sa che gli psichiatri hanno usato per centinaia di anni termini diagnostici cosiddetti tali per stigmatizzare e controllare la gente […] Dare ad un bambino uno psicofarmaco è avvelenarlo, non curarlo. Le malattie sono disfunzioni del corpo umano, del cuore, del fegato, dei reni, del cervello, e così via. La febbre da tifo è una malattia. Tutti lo sanno, non ci sono domande. L’innamorarsi, “febbre d’amore”, non è una malattia.

Insomma, avrete ormai capito che Marco Modugno si è occupato di un tema serio, delicato e soprattutto attuale; etichettare è un buon modo per trovare ordine nel caos ma inevitabilmente le conseguenze di determinati tipi di etichette possono essere davvero dannosi.

Segue la prima parte di Labeling; il resto potrete leggerlo nei prossimi giorni!

Stay Tuned

LABELING  – I PARTE

La luce artificiale bianca emanata dalle plafoniere disposte a schiera sotto il soffitto illumina il lungo corridoio, privo di finestre, caratterizzato da numerose porte su entrambe i lati.

Le ruote vecchie di un carrello colmo di strofinacci e detersivi, spinto da un inserviente altrettanto vecchio, generano un continuo e fastidioso rumore simile ad un giradischi incantato.

Un’ infermiera dal fisico robusto esce da una stanza del corridoio ed entra in quella immediatamente successiva lasciando semiaperta la porta sulla quale è attaccata una targhetta con su inciso a caratteri cubitali “DR. ERNEST ROONEY”

Un uomo di mezza età dal viso evidentemente pallido, nonostante sia parzialmente coperto dalla barba incolta, è seduto di fronte ad una scrivania. Capelli castani e occhi marroni fissi a guardare al di là della grande finestra situata di fronte a lui. Un giovane alto in camice bianco spalanca la porta e fa il suo ingresso

-Buongiorno Dr. Rooney

-Buongiorno Elisabeth. Allora, Sig. Taylor…o preferisce Steve?Mi diceva di questa voce maschile che sente e, cosa le dice?

-In tutta sincerità, dottore…spesso sono frasi incomprensibili, altre volte invece sembra più chiara e quello che riesco a capire si ripete continuamente come l’effetto di un eco;“vuoto”, “vacuo”, “tonfo”, queste sono le parole che mi sussurra

-E mi dica, ha riconosciuto a chi appartiene questa voce? Uno zio, un lontano parente, non so, un vecchio amico?

-No, assolutamente estranea.

-Dai dati che lei ha fornito all’accettazione leggo che all’incirca due settimane fa ha iniziato ad avvertire questa, come chiamarla, strana presenza e che solitamente è notturna; ma, che lei ricordi, ha già avuto di questi problemi in passato?>

-No, direi di no

-Ne è sicuro? Neanche da bambino? I suoi genitori le hanno mai parlato di episodi analoghi che lei in qualche modo è riuscito a rimuovere?

-Lo escludo! Sa, mia madre è sempre stata molto apprensiva nei miei riguardi e se avesse avuto anche il minimo sospetto di qualche mio piccolo malore, avrebbe fatto arrivare i migliori specialisti del mondo per farmi visitare.

-La capisco, anch’io sono figlio unico. Ma la prego Steve, continui pure a parlarmi di sua madre; com’era il suo rapporto con lei da piccolo?

-Direi ottimo! Praticamente quasi tutti i ricordi della mia infanzia sono legati a lei. Vede…mio padre era spesso in viaggio a causa del suo lavoro; inoltre abitavamo in campagna e, dopo la scuola, non c’era un granché da fare, di conseguenza trascorrevamo molto tempo insieme.

-E questi viaggi hanno influito in qualche modo sul rapporto che lei aveva con suo padre?

-Non saprei dirle, forse all’inizio! Ha presente quando la domenica si usciva per un pic-nic con parenti e amici? Beh, in quelle occasioni non le nascondo che guardavo con un po’ di invidia gli altri bambini giocare con i propri padri, ma il broncio passava quando al suo rientro mi portava un nuovo guantone da baseball

-Le piace il baseball, Steve?

-Oggi non mi interessa più di tanto, ma la mia adolescenza l’ho trascorsa tra lo studio e i Red Sox. Le dirò di più,  forse sono stati proprio il baseball e i Red Sox a rafforzare il legame tra me e mio padre. Eravamo dei fans sfegatati. Appena si presentava l’occasione, compravamo i biglietti e andavamo allo stadio, anche se questa cosa faceva arrabbiare mia madre che lamentava il fatto di rimanere spesso da sola. Io però ho sempre pensato che a darle fastidio fosse il fatto che non ero più quel bambino morbosamente legato a lei.

-I suoi genitori litigavano solo per il baseball o c’erano altri problemi fra loro?

Un sorriso ironico precede la risposta di Steve

-Sono sposati da più di quarant’anni e tuttora si amano come il primo giorno. Non ho mai sentito l’uno alzare la voce nei confronti dell’altro. Mi piacerebbe un giorno arrivare alla loro età e vivere un rapporto con la stessa passione, lo stesso desiderio.

-Crede che attualmente il suo matrimonio non sia felice o magari che in futuro non possa esserlo come quello dei suoi genitori?

-No, questo no! Amo mia moglie e spero di restare con lei per tutta la vita, ma credo anche che i tempi siano cambiati e che oggi è sempre più difficile mantenere inalterati nel tempo quei sentimenti che all’inizio ti rendono felicemente sposato. Comunque, questi primi nove anni di matrimonio sono stati gratificanti. Salvo, ovviamente, qualche occasionale attrito, le cose con lei sembrano funzionare abbastanza bene.

-E i suoi figli?

-Loro sono straordinari! Carl ha otto anni e già impazzisce per il baseball, Jennifer ne ha quasi sette e vuole fare la ballerina. Sono adorabili, ma messi insieme sono una forza della natura. Lei ha figli dottor Rooney?

-Non ancora.

-Beh, mi creda se le dico che è un’esperienza straordinaria, anche se a volte ti rendi conto che è veramente difficile crescerli ed educarli, soprattutto quando hai un lavoro che ti porta via molto tempo e la sera non hai più né la forza né la pazienza per stargli dietro.

-Lo stress lavorativo la porta ad essere molto severo con loro?

-Quanto basta. Vede, mia moglie per carattere è molto permissiva, di conseguenza spetta a me il ruolo del “genitore” cattivo. Comunque, che io ricordi, raramente con i miei figli si arriva a qualche sculaccione.

-Ok Steve, come primo incontro può bastare, continueremo a parlare lunedì in gruppo. Vedrà che soggiornare per un po’ al “Mind’s house” non potrà che farle bene.

Rooney si alza in piedi e con lo sguardo cerca di incrociare quello di Elisabeth, che per tutta la durata del colloquio è rimasta lì a sistemare delle carte

-Elisabeth! Accompagni Steve di sotto, gli dia un camice e dei pantaloni puliti, poi lo conduca da Jack. Steve, lei stia tranquillo e pensi solo a riposarsi; al resto pensiamo noi.

-Grazie dottor Rooney, a presto!

A lunedì prossimo per la seconda puntata…