E poi? Come continua il racconto?
E’ questo il bello: il racconto non continua, o meglio non ha ancora una fine certa. Sta a Voi creare l’epilogo.
Ecco la 2° edizione del concorso mensile di Letteratu.it: terminate la storia secondo il Vostro criterio e gusto letterario. Unico limite, come sempre, la vostra fantasia. Questo mese l’incipit è ‘offerto’ da Diego Pugliese: il suo profilo è nella colonna a destra 🙂
Inserite pure il vostro finale nei commenti entro il 10 Febbraio: i 3 più belli (a nostro insindacabile giudizio) riceveranno in regalo un libro a scelta dalla classifica dei top100 di IBS (trovate qui l’elenco).
Siete pronti? Buona scrittura!
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Il suono del campanello lo aveva tirato giù dal letto alle quattro del mattino. Chi mai poteva essere a quell’ora? Si alzò per andare ad aprire la porta. Il pavimento del salone era illuminato dall’alone blu alieno del riflesso degli enormi caratteri della scritta WESTRIX, che campeggiavano sul tetto del palazzo di fronte. L’ultimo temporale ne aveva danneggiato un paio e la luce si era fatta intermittente, dipingendo a tratti in maniera angosciosa il pavimento di legno. Il campanello suonò di nuovo. Avanzò titubante verso la porta, insicuro. Dietro la porta si stagliava prorompente come al solito la silhouette del suo demone personale. Sarah era il suo tormento da ormai due anni. Tutto era cominciato una notte d’estate, come tutte le storie che durano poco. Entrò senza chiedere permesso, e si sistemò sul divano, sedendosi a gambe larghe. Cosa voleva da lui alle quattro di un mattino freddo e piovigginoso? Lei lo fissò dritto negli occhi, indossando il suo migliore sguardo. Nel suo solito tono strascicato, sensuale, bollente come aghi di ghiaccio gli comunicò le sue intenzioni. “Devi aiutarmi. Solo tu puoi.” Ecco. Il dado era tratto. Sapeva di doverla aiutare. Se non lo avesse fatto le sarebbe successo qualcosa di orrendo, e non voleva che lei lo tormentasse anche da morta. Non avrebbe parlato, un cenno del suo capo le avrebbe fatto capire tutto. E lei forse lo avrebbe ringraziato con un bacio, di quelli che fanno male, perché non hanno un seguito.
Lui fece quel gesto con la mano che significava “continua, vai avanti”. Lei guardò l’uomo che la desiderava più di tutti quelli che conoscesse, ma che continuava a rifiutare perché non si sentiva una da amare. Lei era sporca, cattiva. Non fingeva. Lo era.
“Mr. Hellbells ha un problema con me, ma io non ho fatto nulla. È scomparso il suo diamante migliore. Sai, quello che tutti chiamavano il ‘Re Nero’.” “Crede sia stata tu?” “No, peggio, crede io sappia chi è stato.” “Ti staranno seguendo.” “Lo so.” “E tu li hai portati dritti da me.”
“So anche questo e so anche che non puoi dirmi di no.” “Beh, è risaputo. Ed è per questo che te ne approfitti.” “Se mi dovessero prendere farei il tuo nome.” “Così dovrei difendermi per forza.” “Mi fido di te.”
Lei si alzò e gli stampò quel bacio che lui si aspettava.
Fosse stato un po’ più sognatore e meno disilluso, poteva quasi credere alla sua sincerità
Quello che provava per lei era fuori da qualsiasi logica esistente e non. Pensava sul serio che avrebbe dato la sua vita per lei senza rimpianto alcuno. Questo faceva di lui un coglione, o un tipo d’uomo utile nei romanzi d’amore. Ma questo non era un romanzo d’amore. Non ci sarebbe stata nessuna notte di sesso in camporella con le stelle ad illuminare la via del piacere dei due amanti. No. Qui al massimo ci sarebbe stata una sventagliata di mitra, un enorme spargimento di sangue e qualche lacrima versata da gente comprata appositamente per non far andar deserto un funerale. Sarah era lì, tra le sue braccia, e immerso nel suo profumo lasciò che la sua mente entrasse nell’enorme cattedrale dei ricordi che era nella sua mente. Una chiesa enorme, costruita pietra per pietra, dove ogni ricordo era un mattone nel muro e ognuno dei suoi dubbi era una finestra, che gettava una luce scura sulle sue memorie. Il suo profumo lo riportava indietro nel tempo, a quando la vide per la prima volta. Quella donna gli faceva paura, perché era l’unica che, da quando lui aveva superato i venti anni, gli aveva fatto battere il cuore. L’ultima volta che il suo cuore aveva accelerato il ritmo, lui aveva per la prima volta una .45 in mano.
Ricevere in dono una pistola, a 22 anni, in una città come la loro, significava aver raggiunto la maturità, con buona pace di quelli che nelle scuole adottavano il diploma. La pistola era il tuo passepartout, con una .45 in mano eri più di un uomo. Eri un uomo con una pistola. Si trovava in difficoltà. Da una parte la solita, confortante paura di una morte violenta, e dall’altra la voglia di aiutarla, così, per provare di nuovo ad averla.
Le accarezzò i capelli, che sapevano di buono e di morte, come sempre. Sentiva che non poteva dirsi vivo senza di lei, ma non era il caso di lasciarsi andare a tenerezze da senzapalle. La allontanò da sé, con una delicatezza che credeva di non avere.
Sarah si sentì rifiutata, proprio ora che aveva deciso di dormire con lui. E dormire era un eufemismo. Capì allora che se non fosse stata lei a spingersi oltre, lui non lo avrebbe fatto, così preso com’era ad amarla piuttosto che a volerla scopare. Si avvicinò di nuovo a lui, prese la sua mano e gliela guidò sul suo seno. Assaporò quel tocco dolce che si fece insistente col passare dei secondi. Si abbracciarono, baciarono e spogliarono in un tempo estremamente breve. Lei lasciò che lui le scivolasse dentro con una calma disarmante. Lui si sentì stretto dal più divino degli umidi calori, e impose un ritmo lento, dolce, compassato. I minuti erano passati senza sussulti, si stavano amando e nessuno dei due riusciva a sopportarlo. Un colpo di pistola squarciò il vetro della finestra alla destra del letto e come colonna sonora dell’orgasmo di lei, c’era stata una bestemmia di lui, colpito alla schiena da un frammento di vetro e, per giunta, costretto a staccarsi da lei nel momento migliore. Non solo l’avevano seguita, ma erano già passati all’azione.
ll suono di altri due spari echeggiò nel suo appartamento e, mentre si gettava a terra per evitare altri frammenti di vetro e cemento, si sentì comunque fortunato, visto che non era ancora morto. Ma sarebbe stata questione di ore, a quel punto. Hellbells aveva voluto cominciare con tre colpi, così, giusto per avvertire. Non c’era da aver paura, ormai. Era finita. Per ora. Cercò Sarah con lo sguardo, aspettandosi di trovarla nascosta da qualche parte. Invece no. Lei era rimasta sul letto, con la mano tra le gambe, a massaggiarsi piano, voluttuosa. Lo chiamò con un dito a finire quello che aveva iniziato. Il fatto che fosse restata eccitata in quel frangente, era da considerarsi un prodigio, se non una disfunzione mentale. Lui salì di nuovo sul letto e stavolta non ci furono spari che lo frenarono. Tutto finì rapidamente, con il suo sperma messo in calce a quel contratto di morte che lei gli aveva proposto di firmare. Si rivestirono senza guardarsi, quasi indifferenti. Sapevano di aver partecipato ad una grossa farsa, che quello che avevano fatto era un imbroglio, una sarcastica presa in giro del destino. Guardarono l’alba dalla finestra rotta, con una tazza di caffè in mano. Era tutto destinato a finire in tragedia, un enorme disastro annunciato dal suo campanello alle quattro del mattino.
Ma non importava quanto in pericolo fossero. Ormai la danza era cominciata, e i proiettili avrebbero a breve fischiato la loro nenia di sangue. Erano in ballo e non potevano fermarsi.