Quando ero ancora in fasce, mi chiedevo sempre come sarebbe stato scrivere una mia autobiografia, come mi sarei raccontato al mondo, e per cosa mi avrebbero ricordato.
– Che noia! – mi sono detto, e così ho abbandonato il progetto. È soltanto adesso, dopo più di sedici secoli, che ho ritrovato l’antico vigore, ma senza quell’anacronistica carica polemica di età giovanile.
La mia, più che una storia di vita, è una storia di lingua, ecco perché vi parlavo della noia: tuttavia nel mio caso, vi assicuro, di noioso non c’è proprio nulla, e se dovesse mai capitare di indurvi al sonno, beh, sarà stata soltanto colpa di chi scrive. Ecco in breve i fatti.
Sin da che ne ebbi facoltà, capitava che sentissi la gente parlare, tutti intorno a me conversavano del più e del meno, io ascoltavo, ripetevo qualcosa, eppure tutto ciò che veniva detto non sembrava altro che uno stupido scimmiottare la natura: similitudini, metafore, anafore, ripetizione senza senso, insomma, più che parlare, pare che tutti cantassero senza curarsi di quanto potessero risultare stonati e goffi (e, vi assicuro, troppi erano i temerari).
Le mie origini sono antiche, nacqui molti secoli fa, tanto che ancora oggi ci sono controversie sul mio nome: mi è stato cambiato tante volte che non so nemmeno più il perché. Prima mi interessavo molto di ciò che mi accadeva intorno, infatti decisi di dare un taglio a quel parlottare così affettato dei miei parenti, fu così che durante il periodo di Natale, stando vicino all’asinello del presepio, iniziai ad emettere strani versi, nessuno si curò di me, in fondo ero solo un pargolo, ed era normale non padroneggiare la lingua come loro, fu così che, per scherzo iniziai così come finii. Lì per lì fui ignorato, e credetti di farla franca prendendo in giro i loro versi così brevi: non fu così.
Per molto tempo mi decisi a sparire dalla circolazione, quella brutta figura non era passata inosservata da chi, tempo dopo, mi accusò di essere prosaico, irriverente, persino volgare.
Il mio esilio durò molti anni, ma che dico: secoli! Alla fine la mia testa dura ebbe la meglio; attesi tempi migliori, in cui la gente non fosse così attaccata alla forma ridicola che mi condannò.
Perché non si può dire pane al pane e vino al vino? Perché non raccontare una storia per puro piacere di farlo, per quale assurdo e malato motivo ai miei amici posso raccontare una storia, vera o inventata che sia, solo se la sua struttura è elaborata?
Be’, sapete che vi dico? Chi vuol stare lì ad analizzare le emozioni è libero di farlo, ma sarà per sempre uno psicologo: se voglio mangiare una mela, non è detto che debba analizzarla al microscopio, se voglio respirare, non ho bisogno di conoscere il funzionamento dei polmoni, i mondi vanno avanti pur senza avere la benché minima traccia di autocoscienza né tantomeno nozioni di cosmogonia. Così decisi di fare io: parlare e scrivere la vita. Uscii allo scoperto, fu un successo.