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Banana Yoshimoto si riveste col suo “L’ abito di piume”

Era da molti anni che non scrivevo più un romanzo adolescenziale; ho cominciato a lavorarci in un periodo di smarrimento totale, tanto da non riuscire a portare a compimento la parte della delusione d’amore della protagonista; sono stata costretta addirittura ad accantonarlo, proponendomi di riprenderlo in mano una volta che mi fossi riavuta…poi invece la storia mi è piovuta giù dal cielo

Questa la confessione della scrittrice de L’abito di piume , Banana Yoshimoto nata a Tokyo nel 1964; abituata a respirare arte già nell’ambiente familiare tramite le poesie del padre e i disegni manga della sorella, porta nei suoi libri parte di se stessa, del suo Giappone, della sua infanzia.

Banana diventa Hotaru, una donna che dopo aver vissuto otto anni a Tokyo una relazione sentimentale con un fotografo già sposato, viene da questi lasciata e cerca di sopravvivere all’abbandono ritornando nel suo piccolo borgo natale, cercando conforto nei vecchi amici e nella nonna.

L’abito di piume  è un libro che cura l’anima, aiutando a risollevarsi dopo una perdita, a ricostruire se stessi non in un nuovo incontro ma nella scoperta di sè, nel diventare “potentemente” forti anche nella solitudine, specie nella solitudine.

E’ stata definita lettura per ragazze quanto viene narrato nelle pagine di questo libro ma è per ragazze di ogni età, perchè lega tutto l’universo femminile in una serie di tappe da vivere, dolorose certo ma necessarie: nel  suo viaggio  Hotaru porta co sè una valigia carica di rifiuto, dolore, disperazione e poi riesce a svuotarla una volta arrivata a destinazione, una volta mescolatasi ai suoni e ai sapori del suo ovattato paesino, ad accettare il cambiamento e ad accettare se stessa.

Pensai che la gentilezza disinteressata delle persone, le loro parole spassionate, fossero come un abito di piume. Avvolta da quel tepore, finalmente libera dal peso che mi aveva oppresso fino a quel momento, la mia anima stava fluttuando nell’aria con grande gioia

Qui si presenta la chiave di lettura del romanzo: l’abito di piume, tradotto dal giapponese hagoromo è  un particolare tipo di kimoro, molto leggero e fatto di lunghi nastri, veste identificativa che le donne-angelo, figure mitologiche giapponesi, indossavano per portare a compimento il loro viaggio dal mondo terreno all’aldilà.

Alla fine del libro, Hotaru riesce ad indossare il suo abito, si riveste di leggerezza e pace, lei che aveva dovuto vestire a lungo i panni del Dolore; ed in effetti è ciò che succede a chi riesce a venir fuori dal tunnel della sofferenza; l’abito di piume diventa un sorriso, una ritorno alla vita, la fine di una lotta che se pur lasciando lividi e cicatrici testimonia che si può uscirne vittoriosi

tutto quello che mi riesce di vedere sulle rive trasmette energia al mio corpo e alla mia anima e avverto la sensazione di ricaricarmi, i sassi, il colore del cielo, le luci delle case, le auto, il colore dell’erba, le piccole creature viventi…forse tutti quelli che come me in qualsiasi angolo della Terra riescono a trarre dall’ambiente quel tipo di conforto, speciale e ordinario insieme, si rendono conto di vivere questo mondo