Florence Montgomery aprì alle ansie novecentesche e a Freud il conflitto tra genitori e figli: il suo “Incompreso”, come accade al cinema per alcune buone pellicole, fu edulcorato dalla traduzione italiana fin dal titolo. Lungi dall’essere la storia di una persona inascoltata o non capita, quella di Montgomery era la tracciatura del dolore che percorre un ragazzo sottostimato da un preconcetto: Prejudged, che pure fu una sua novella, sarebbe stato un titolo migliore di Misunderstood.
La storia, che oggi definiremmo strappamutande, è un assoluto modulo sull’intolleranza del vivere, sulla mancanza di giusta comunicazione. Quasi un manuale, che spiega tutto ciò che non va fatto e detto nel rapporto quotidiano con le persone che ci stanno nel cuore e con quelle che ci stanno sul fegato.
Cosa c’è da imparare, dunque, dal brodino manicheo che ispirò il nostro Comencini? La sua riduzione cinematografica suona a posteriori come un ultimo appello ai genitori perchè capissero i figli ed evitassero un disastroso conflitto generazionale: due anni dopo, il ’68 mostrò il livello di dialogo raggiunto nel Paese. Eppure di comunicazione c’è bisogno a tutti i livelli, specie tra le persone adulte, mentre con i bambini il dialogo è molto più semplice e basta abbondare con l’ascolto.
Avrei volentieri suggerito a Sir Duncombe tre semplici regole davanti ad un buon bicchiere di Chianti (meglio ciucchi noi che tuo figlio, eh signò?):
1) Siamo più simili agli altri di quanto non siamo diversi, eppure ci sono momenti nella vita nei quali incontriamo persone che ci portano su una strada sbagliata: prima di combatterle, tuttavia, potremmo provare a trattarle con rispetto. Tutte hanno un passato: non possiamo sapere cosa abbia detto, sentito o visto chi ci sta di fronte.
2) Nessuno dovrebbe tollerare troppe angherie, ma si può avere più compassione nell’approccio con persone ostili: c’è un valore profondo e impalpabile che tutti desiderano nella vita, ed è l’accettazione. Essere accettati ed apprezzati fa sentire qualcuno necessario e voluto. Essere accettati ci dà molte ragioni per vivere. Leggete le cronache sui suicidi giovanili e capirete che quasi tutti sono il risultato di stili di vita che pregiudicavano l’accettazione. Essere accettati è comprendere fulmineamente che facciamo parte di coloro che condividono il mondo in questo momento.
3) Possiamo imparare da quelli che consideriamo nemici: interagire o no con loro porta a risultati profondamente diversi. Perchè abbiamo problemi con qualcuno? Ci ricorda una persona che ci ha dato problemi in passato? Ci ricorda noi stessi, i nostri fallimenti? Molte domande, molte risposte. Non lasciamo andare un nemico prima di aver imparato una lezione.
Dette queste tre cose, se quel trombone non si fosse ancora reso conto di dover ascoltare suo fratello Will più che suo figlio, avrei evitato al mondo una rampogna della signora Florence.
Sarebbe stato ingiusto.