«Sono anche io come tutte le altre: bugiarda, traditora, infedele… Non molto diversa da un’Adriana Trentini qualsiasi, in fondo».
Aveva detto infedele spiccando le sillabe, con una specie di amaro orgoglio. Proseguendo, aggiunse che se io avevo avuto un torto era sempre stato quello di sopravalutarla un po’ troppo. Con questo, non è che avesse la minima intenzione di scagionarsi, per carità. Tuttavia era un fatto: lei aveva sempre letto nei miei occhi tanto idealismo da sentirsi in qualche modo forzata ad apparire migliore di quanto non fosse in realtà.
A parlare è Micòl, una delle protagoniste femminili più affascinanti della letteratura italiana. Il romanzo in questione è “Il giardino dei Finzi-Contini” di Giorgio Bassani.
Pubblicato nel 1962, il libro è un omaggio memoriale postumo a una famiglia di israeliti destinata a morire nei lager nazisti. La vicenda è, infatti,ambientata nei tempi bui del fascismo e delle leggi razziali che colpirono tanti ebrei e che elusero i giovani dalle scuole pubbliche e da tutte le associazioni culturali e ricreative. Per questo motivo Ermanno e Olga Finzi-Contini aprono i cancelli del proprio giardino a un gruppo di coetanei dei figli Alberto e Micòl. Fra questi giovani c’è l’io narrante che è allo stesso tempo regista e personaggio del romanzo. Il giardino diventa così un luogo sospeso, a-storico e pieno di fascino. Le giornate trascorrono giocando a tennis, studiando e conversando, mentre l’orrore resta apparentemente relegato fuori le mura. L’unica che sembra in grado di guardare il mondo con distacco e ironia è proprio la bella Micòl.
Enigmatica e imprevedibile, la giovane sarà l’oggetto dei desideri dell’autore che più volte nel corso del romanzo proverà ad avvicinarsi e a concretizzare l’amore appassionato e struggente che lo logora. Niente da fare, Micòl lo allontana, consapevole che le persone troppo simili non possono amarsi davvero, perché «l’amore (così almeno se lo figurava lei) era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda, uno sport crudele, feroce[…]da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d’animo e onestà di propositi».
Il resto lo lascio scoprire a voi. Un libro da leggere assolutamente, un classico a tutti gli effetti. La grandezza dello scrittore è proprio quella di riuscire a trasmettere il ricordo di un periodo cupo della storia dell’umanità senza avvolgerlo mai in un’aura drammatica e lugubre ma in maniera dolcemente malinconica. L’amore mai vissuto per Micòl fornisce allo scrittore l’ispirazione per scrivere pagine bellissime, di struggente dolcezza.
In uno degli ultimi capitoli del romanzo, l’io narrante discute con il padre riguardo il suo amore per la giovane ragazza. Riporto qui parte del dialogo:
“Che cosa avresti voluto fare?Fidanzarti?”
“Perchè no?” feci tuttavia, e lo guardai.
Scosse il capo.
“Vuoi che non ti capisca?” disse. “Anche a me la ragazza piace. Mi è sempre piaciuta[…]Graziosa,anzi bella(perfino troppo,magari!),intelligente,piena di spirito…ma fi-dan-zar-si!” scandì,sgranando gli occhi.”fidanzarsi,caro mio,vuol dire poi sposarsi. E a questi chiari di luna,senza oltre tutto una professione sicura in mano[…]io avevo studiato da medico,mentre tu…”
“mentre io?”
“sicuro. Tu invece di medicina,hai preferito prendere Belle Lettere, e sai che quando è venuto il momento di decidere io non ti ho ostacolato in nessun modo. La tua passione era quella, e tutti e due, io e te, abbiamo compiuto il nostro dovere: tu scegliendo la strada che sentivi di dover scegliere, e io non impedendotelo. Ma adesso?Anche se come professore tu avessi aspirato alla carriera universitaria…”
Accennai di no col capo.
“Peggio” riprese lui, “peggio! E’ ben vero che niente, anche adesso, può impedirti di continuare a studiare per conto tuo…di continuare a coltivarti per tentare, un giorno, se sarà possibile, la carriera ben più difficile e aleatoria dello scrittore, del critico militante[…]oppure perché no?del romanziere, del…” e sorrise, “del poeta[…]”
Parlava del mio futuro letterario -mi dicevo- come di un sogno bello e seducente,ma non traducibile in qualcosa di concreto, di reale.”
Chissà per quanti di noi queste parole suoneranno familiari. Il padre del protagonista usa un tono dolce e pacato ma di sicuro non tutti i genitori avranno affrontato un discorso del genere mantenendo la calma.
Chi sceglie di dedicarsi agli studia humanitatis sa di essersi inevitabilmente complicato l’esistenza. D’altronde una vocazione resta una vocazione ed è inutile metterla a tacere se non si vogliono rischiare dannose nevrosi. Non ci resta che rassicurare madri e padri usando magari quest’aforisma di Grazia Deledda:
Se vostro figlio vuole fare lo scrittore o il poeta sconsigliatelo fermamente. Se continua minacciatelo di diseredarlo. Oltre queste prove, se resiste, cominciate a ringraziare Dio di avervi dato un figlio ispirato, diverso dagli altri.