Domenica 23 dicembre 1984, ore 19.08. Il treno rapido 904 proveniente da Napoli e diretto a Milano sta percorrendo la Grande Galleria dell’Appennino, in località Vernio, provincia di Prato. In quel frangente su una griglia portabagagli del corridoio della nona carrozza di seconda classe, viene fatto esplodere un ordigno carico di esplosivo radiocomandato. La detonazione è fortissima. Il treno si trova quasi a metà della galleria e lo spostamento d’aria frantumerà tutti i finestrini e le porte del convoglio. Le vittime saranno 17 e i feriti 267.
Da alcuni articoli di giornali dell’epoca, si legge che secondo gli inquirenti, un intreccio diabolico tra mafia, camorra e terrorismo nero avrebbe voluto questa strage per “distogliere l’attenzione degli apparati istituzionali dalla lotta alle centrali emergenti della criminalità organizzata, che in quel tempo subivano la decisa offensiva di polizia e magistratura, per rilanciare l’immagine del terrorismo come l’unico, reale nemico contro il quale occorreva ancora accentrare ogni impegno di lotta dello Stato. Ma alcuni elementi obiettivi rendono ipotizzabili anche altri, più ambiziosi moventi: le marcate connotazioni politiche di molti degli imputati, i collegamenti di entrambi i gruppi con ambienti della destra eversiva, il progressivo porsi dei sistemi criminali in atteggiamento di radicale antagonismo rispetto allo Stato, alla stregua di veri e propri ordinamenti particolari protesi a sostituire l’ordinamento generale. Facile, battendo il terreno delle ipotesi, a questo punto arrivare a Licio Gelli”.
Nell’89 furono condannati in primo grado dalla Corte d’Assise di Firenze per “reato di strage, attentato per finalità terroristica ed eversiva e di banda armata” esponenti del gruppo definito ‘romano-siculo’ come Pippo Calò, Guido Cercola, Franco d’Agostino e Friedrich Shaundin, esponenti del gruppo ‘napoletano’ come il Boss Giuseppe Misso, Alfonso Galeota, Pirozzi, Esposito e Luongo. Si dispose la separazione degli atti per l’ex parlamentare missino Massimo Abbatangelo in quanto fu eletto al Parlamento. La corte di Cassazione, dopo gli altri giudizi, con sentenza 24 novembre 1992, confermava l’ergastolo a Calò e a Cercola, la pena ridotta a 24 anni di reclusione a d’Agostino, 22 anni di reclusione a Shaundin, assolto dal reato di banda armata, la pena di 3 anni di reclusione per Misso, Galeota e Pirozzi, colpevoli per la detenzione di candelotti d’esplosivo, 4 anni di reclusione ad Esposito per favoreggiamento ed un anno e 6 mesi per Luongo. Intanto Galeota verrà ucciso nel ‘92 mentre tornava da Firenze a Napoli e Cercola si suiciderà nel 2005 nel carcere di Sulmona. Per quanto riguarda invece Abbatangelo, fu condannato inizialmente all’ergastolo nel ’91 dalla Corte d’Assise di Firenze, ma in seguito agli altri gradi di giudizio, il 19 dicembre 1994, la Cassazione confermerà la sua assoluzione dalle imputazioni di strage, condannandolo a 6 anni per detenzione di armi ed esplosivo.
Anche dopo l’iter processuale, a 26 anni di distanza dalla strage, non tutta la verità è venuta a galla. Come mi spiega Antonio Celardo, presidente dell’ ‘Associazione tra i familiari delle vittime della strage del treno 904’, “Non conosciamo ancora gli esecutori materiali, i mandanti, i rapporti di Calò con la politica ed infine il ruolo che hanno avuto i servizi segreti”. Dagli atti infatti, si legge solo che “il giudice ha attribuito l’esecuzione della strage a persone non individuate ma che ruotavano intorno a Calò”. “Tra l’altro” – aggiunge il presidente Celardo – “Shaundin non ha mai scontato la sua pena in quanto si è permesso di farlo scappare in Germania e nessuno mai si è interessato a questo caso”. Personalmente ritengo raccapricciante che si parli poco di questa strage. Nei giorni precedenti alla commemorazione annuale che avviene alla stazione di Napoli, dove al binario 11, stesso binario da dove partì il rapido 904, viene depositata una corona di fiori in presenza del sindaco di Napoli e di altre autorità locali, oltre a qualche trafiletto su qualche giornale nazionale che parlava di tale commemorazione, non ho letto nulla né tantomeno ho ascoltato alla televisione qualche servizio che spiegava cosa accadde in quel maledetto 23 dicembre. “Ci sentiamo abbandonati non solo dalle istituzioni, ma anche da giornalisti e da storici” – conclude Celardo – “che ormai non si interessano più al caso; pretendiamo di conoscere l’intera verità e non solo una parte di essa, ed è anche per questo che insieme ad altre associazioni pretendiamo l’apertura degli archivi coperti da segreto di Stato, come previsto secondo legge”. Si tratta della legge 3 agosto 2007 n. 124 che regola il segreto di Stato, la quale all’articolo 39 prescrive che passati al massimo 30 anni dalla data in cui è stato apposto il segreto sull’evento e sui relativi documenti, tutti i documenti che si riferiscono all’evento siano resi pubblici”. Il problema è che non solo non sono mai stati emessi i decreti attuativi di questa legge, ma anzi, nella relazione della Commissione Granata sul segreto di Stato consegnata al Copasir nel luglio scorso, si prospetta la possibilità di prolungare sine die la copertura degli archivi.
Mi piace concludere citando una frase di una strofa di una canzone di Frankie Hi Nrg. “Strage di Bologna, Ustica, Gladio, cumuli di scheletri ammassati in un armadio”……… già, cumuli di scheletri ammassati in un armadio.