Divenne un classico della letteratura europea già qualche anno dopo la sua uscita, nel 1843. A Christmas Carol è, senza ombra di dubbio, il più famoso tra i racconti dei “Libri di Natale” di Charles Dickens, una silloge di novelle che ruota attorno alla celebrazione della festa più popolare dell’anno, comprendente, oltre al Canto, Le Campane, L’uomo visitato dagli spettri, Il grillo sul caminetto e La lotta per la vita.
La semplicità, la scioltezza espositiva e la profondità del messaggio hanno garantito a Un Canto di Natale un successo immediato e una penetrazione di massa in tutti gli strati sociali. Quello di Dickens non è un racconto, ma il racconto del Natale per eccellenza, una vera e propria lente d’ingrandimento sull’animo umano che tocca le corde del cuore e schiude significati universali.
Siamo nella Londra, già cosmopolita e caotica, del XIX secolo. La penna dello scrittore inglese traccia con straordinario realismo la figura di Ebenezer Scrooge, vecchio finanziere della city ricco e avaro, egoista e scontroso, terribilmente ostile al Natale e all’atmosfera festosa che da esso scaturisce. È una sciocchezza. Con questa sentenza l’arido Scrooge liquida una festa nella quale egli vede solo un ostacolo al suo profitto. Ma la spaventosa visione del fantasma di Jacob Marley, ex socio d’affari, morto sette anni prima, segna lo spartiacque: lo spirito, che, sulla scorta del contrappasso di dantesca memoria, trascina le catene dell’egoismo e dell’avarizia, preannuncia al protagonista la visita degli Spiriti del Natale Passato, Presente e Futuro. Apriti cielo. Lo Spirito del Natale Passato riporta il vecchio Scrooge all’adolescenza; scopriamo un bambino ignorato dagli amici e un ragazzo lasciato dalla donna di cui era innamorato. Il secondo Spirito, il Presente, lo conduce in casa del suo umile impegato Bob Cratchit; si apre qui la descrizione forse più toccante del racconto: Scrooge è incredulo nel constatare con quanta umiltà, gioia e attaccamento alla famiglia si possa consumare il pranzo di Natale di un uomo costretto a vivere in condizioni misere a causa dell’avarizia del datore di lavoro, con un figlio storpio, tra l’altro, che teneramente invoca la benedizione di Dio per sè e per le persone che ama. Ma è lo Spirito del Natale Futuro che innesca l’annunciata conversione: Scrooge guarda con i propri occhi le conseguenze, post-mortem, di una vita trascorsa soltanto a incrementare il proprio guadagno, avendo curato l’interesse personale e nient’altro. Il sollievo dei debitori e l’indifferenza di tutti per la fine di un uomo che umanamente non ha dato niente a nessuno, redimono definitivamente il suo animo: Scrooge trova il coraggio per presentarsi a festeggiare a casa del nipote, concede l’aumento a Cratchit, diventa una persona generosa e amata.
A Christmas Carol ci consegna un messaggio di grande attualità, se consideriamo che da da metà ‘800 ad oggi tanti grandi “Scrooge” sono cresciuti e si sono formati in una società che fa del profitto il suo unico fine, perseguibile con ogni mezzo. Il racconto di Dickens apre i cancelli ad un grande segreto: la felicità vera si tocca nelle piccole cose, in una canzone canticchiata allegramente, in una serata tra amici o in famiglia.
Ma il protagonista della storia ha un grande privilegio, che a nessuno di noi sarà concesso: conoscere il Futuro. Perché è solo allora, quando trova il coraggio per guardare il suo corpo senza vita, freddo e inerte, che Scrooge si “converte”. Non succederebbe forse la stessa cosa anche a noi?
Perciò ricordiamo il Passato, viviamo a 360 gradi il Presente e costruiamo il nostro Futuro, giorno dopo giorno. Ovviamente, memori del monito del saggio Dickens: l’egoismo è fonte certa di infelicità, la solidarietà è un valore irrinunciabile.