Antonio De Curtis, in arte Totò nasce nel 1898 a Napoli nel Rione Sanità da una relazione clandestina di Anna Clemente e Giuseppe De Curtis che in un primo momento non riconosce la sua paternità.
La mancanza della figura paterna ha un forte ascendente sul “principe della risata” tanto da spingerlo a ricercare, dietro una rendita, l’adozione da parte del marchese Francesco Maria Gagliardi Focas, ottenuta poi nel 1933.
Già a quindici anni calca i piccoli palcoscenici partenopei e comincia a farsi strada e a diventare un personaggio; lo contraddistingue la mimica, la straordinaria capacità di recitare col tutto il corpo riuscendo a divenire una maschera di se stesso e a dare l’impressione di essere una marionetta tenuta su da chi sa quali fili.
In breve tempo conquista fama in tutta Italia andando in tournee nelle maggiori città della penisola, con soste a Roma, Padova e ritorni a Napoli, presso il Teatro Nuovo dove lavora per la prima volta con Titina De Filippo.
Col passare degli anni grazie alla sua personalità poliedrica riesce ad adattarsi ai tempi e alle novità, come il passaggio dall’avanspettacolo alla “grande rivista”, arrivando sempre a grandi risultati e potendo godere della collaborazione di artisti del suo calibro quale la sua partner lavorativa Anna Magnani.
Lasciato il segno nel cinema, nel teatro e misuratosi anche con la poesia, muore nella sua casa ai Parioli, colpito da tre infarti nel 1967.
Viene sepolto a Napoli, dopo una funzione funeraria solenne alla quale presero parte più di duecento mila persone.
Spontanea ma cosciente, la sua comicità nasconde però un retrogusto amaro, di chi sa bene di cosa sta parlando, di chi si serve del suo “mestiere” per far sorridere ma anche riflettere sui temi presentati.
« Signori si nasce, ed io lo nacqui, modestamente! » è una delle sue più celebri battute dove Totò vuole sottolineare con questa espressione non tanto l’essere un signore dal punto di vista sociale, nonostante poi in effetti siano stati a lui riconosciuti vari titoli nobiliari, ma quanto signori di animo, capaci di avere quella sensibilità tale da vivere ed emozionarsi dei temi presentati sul palco, quali prima fra tutti la povertà e la fame .
A livella è il suo libro di poesie più famoso, pubblicato nel 1964 e contenente 26 poesie scritte a partire dagli anni cinquanta.
E’ una poesia che esprime in toto il vero spirito di Totò, capace di mettere in scena la vita oltre la morte e in maniera delicata di mandare un importante messaggio attraverso due personaggi, uno il marchese che ragiona ancora da vivo, l’altro il netturbino conscio della sua nuova realtà; le tombe sono lo specchio della vita, di ciò che si è avuto, di ciò che si è stati, delle proprie ricchezze e delle povertà, ora comparabili attraverso fiori e lumini; ma a chi vi giace all’interno, o nel caso della poesia, “gli inquilini della necropoli” che vi camminano di notte poco importa di luci e grandi titoli, a nulla servono più, perchè la condizione è la medesima…e questa sembra essere la triste consolazione per i poveri e l’amara verità per i ricchi che il principe scugnizzo lascia ai vivi
Perciò,stamme a ssenti…nun fa”o restivo,
suppuorteme vicino-che te ‘mporta?
Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive:
nuje simmo serie…appartenimmo à morte!”