Io voglio molto bene a questa carne della quale sono fatto e credo di essere sinceramente questa carne, anche se mi accorgo che c’è una parte di me che la carne non basta a fare e che è fatta di un’altra materia che non conosco bene: immagino che sia sottile, leggera, trasparente e femminile. Questa è la parte di me che io chiamo anima e penso che non sia una cosa distinta dalla carne ma compenetrata in essa: come due fiumi che si mescolano.
Giulio Mozzi scrive nel 1998 la raccolta di racconti Il male naturale dove analizza la malvagità dell’essere umano; le sue storie sono esperienze di vita che lo scrittore padovano ha avuto modo di scrutare sia direttamente che non; il fascino del male ha un notevole ascendente sull’uomo perché è legato alla parte di questi più debole e allo stesso tempo più profonda, la mente.
Il libro non è di facile lettura e di certo non è di quelli che si possono leggere tutto d’un fiato: bisogna nutrirsi a piccoli morsi di quelle parole che sembrano essere dei veri e propri morsi di vita, tanto violenti quanto reali. Mozzi non commisera l’uomo, né volutamente incalza in un particolare perverso piuttosto che in un altro; semplicemente lo scrittore analizza, scientificamente, in maniera minuziosa, dove l’uomo può arrivare per provare se stesso, il suo corpo, nei bui corridoi del suo essere.
E’ uno stile di scrittura generosa, quella del Mozzi, che non si risparmia, non si censura, non edulcora il contenuto: diretto e preciso come lo sono le perversioni degli uomini…
Sto combattendo contro quella sensazione di morire che mi invade sempre quando mi avvicino ad un’altra persona. Io finisco in un certo punto, lei comincia oltre quel punto; in mezzo c’è un vuoto sottilissimo che non si buca.
Mozzi ha come soggetto dei suoi racconti la carne; i personaggi non hanno una fisionomia ben definita e non restano impressi nella memoria del lettore se non per quel “particolare” che appartiene a tutti, il corpo… il corpo si nutre, si trasforma, si distrugge, arriva alla morte… perché il corpo è male e l’ultima tappa del male è la morte stessa.
Forse è questo il motivo per il quale l’uomo è affascinato dal male: perché non fa paura quello che ti trascina giù, è più spaventoso quello che dura, il non sapere quando qualcosa finirà e avere paura che non finisca; il corpo è soggetto ad una fine e la fine non fa paura… il male poi si sposa con tutto ciò che non è eterno perché lo rende afferrabile… e l’uomo, che bisbiglia il dolce ed urla ferocemente il male, non può che trovare questa situazione perfettamente congeniale al suo essere.
E’ proprio della natura umana essere più predisposti a ferirsi e a ferire che a regalare/si gioia… le emozioni più intense non si possono controllare e quindi non si ha potere su di esse; diversamente affezionati all’idea che “il soffrire è un momento imprescindibile della vita” e che il dolore si addomestica, l’uomo, che è pur sempre solo con se stesso, del male può diventare compagno, del bene no: perché per soffrire basta una persona ma per provare gioia si deve essere necessariamente in due e solo una delle due parti si controlla…
“Amore”, “Splatter”, “Supernivem”, sono solo alcuni dei titoli dei racconti de Il male naturale: Mozzi trasforma tutto in scrittura, forse perché l’arte diventa un modo per alleviare le colpe, le parole assolvono i crimini se oggettivate, l’espiazione possibile quando c’è consapevolezza: ma se poi si continua ad essere affascinati dal male?