Facile dire di una storia che è una metafora. Nel caso di Tomàs, romanzo di Andrea Appetito (Effigie 2017), le metafore sono tante e lascerei ai lettori il gusto di scoprirle. C’è una città (la Città) con un porto in disuso, con un tiranno riconosciuto, Luka, con un ghetto (il Ghetto) in cui sono relegati gli ex portuali con il loro capo carismatico, Pietro; c’è una donna malata che pronuncia oscure profezie, c’è una donna dai capelli rossi e dalla complessa vita amorosa, ci sono tre giovani – Tomàs, Karina e Nicholas – segnati da diverse ragioni di infelicità.
Davanti al porto compare una nave e tutto sembra cambiare. Tomàs, dalla personalità forte, dalla vita e dalla storia familiare complicata, progetta di andare via dalla Città oppressa, lasciandosi tutto alle spalle. Ma improvvisi episodi di violenza sconvolgono la Città e Tomàs scompare.
Appetito narra una storia potente come un dramma greco, con pochi ingredienti basilari (potere, amore, morte), una vicenda in cui non è difficile veder rispecchiati tratti del nostro presente. Con uno stile scarno e limpidissimo, senza un aggettivo di troppo, l’autore mette in scena, proprio come su un palcoscenico, sette personaggi, senza mai sovrapporre la propria voce alle loro. Ciascuno racconta la sua versione della storia, la sua verità. Tutti sono in qualche modo legati a Tomàs, che si trova al centro di una rete di relazioni; tutti si chiedono come abbia potuto scegliere di andar via senza avvisare nessuno, senza portare con sé nemmeno l’amico fraterno, nemmeno la ragazza che lo ama. Di capitolo in capitolo, ogni ricostruzione parziale fa compiere al lettore un passo verso lo scioglimento di tutti i nodi della vicenda.
Rosalia Messina