Un triangolo perverso i cui vertici sono tre ragazzi dall’apparenza vincente: Alessandro, Nicola e Giulia, amici fin da bambini, universitari, fidanzati e amanti secondo geometrie dove sesso e cuore sono un groviglio di sfrontatezza e immaturità giovanile. Un sogno, quello di Giulia, di diventare cantante con una voce alla Mannoia e l’inconsapevolezza dei riti deviati dello star system, che tra vocal coach, agenti e reality costituisce un sottobosco in cui è facile perdersi.
Un colpo di forbici da sarto.
Ecco l’avvio del nuovo romanzo di Elda Lanza, “Uno stupido errore”, edito da Salani.
Ancora una volta l’autrice di “Niente lacrime per la signorina Olga”, “Il matto affogato”, “Il venditore di cappelli”, “La cliente sconosciuta” e “La bambina che non sapeva piangere” fa centro: la scrittura scorrevole e ironica dipana con levità una trama che altre penne tratteggerebbero con eccessi o toni cupi. Elda Lanza riesce a disegnare personaggi credibili – molto attuale la figura dell’avvocato Aziz Bernardini, pelle nera e padre napoletano, serio e umano nella sua ricerca della verità, tutt’altro che oleografica è la Napoli contemporanea in cui si muovono i protagonisti – e utilizza i meccanismi del giallo e del noir per riflettere su un delitto che diremmo “borghese” e trarne riflessioni sui meandri dell’animo umano e i labirinti della giustizia, che spesso disattende le speranze in essa riposte, ma senza psicologismi o ambizioni di analisi sociologica: “Uno stupido errore” è e rimane un romanzo, l’ultimo ma non ultimo di una fortunata serie che vede come “eroe” – ma un eroe complesso, a volte malinconico e dolente, acuto e disincantato – l’avvocato Max Gilardi.
La sfida dell’autrice – ricordiamo tutti, tanto per fare un esempio entrato nella memoria collettiva, de “Il tenente Colombo” –, cioè tenere desta l’attenzione del lettore che sa già fin dall’inizio chi ha ucciso Giulia e seguire in parallelo le indagini della magistratura, quelle degli avvocati incaricati del caso e la queste personalissima della mater dolorosa, la mamma di Giulia, investigatrice per caso e per amore, quindi in prospettive e con scopi differenti, è vinta.
Dialoghi serrati si alternano a sobrie descrizioni e a corsivi più poetici e distesi in cui i lampi all’indietro dei flashback illuminano a ritroso le vicende dei personaggi.
Scrivere ad Elda Lanza – esperta di comunicazione, docente di Storia del costume ed esperta di galateo e nota come prima presentatrice della televisione italiana – è come chiacchierare di scrittura e delitti con lei davanti a una tazza di tè, fra arsenico e vecchi merletti verrebbe da dire. Arguta e vivace come una Christie di casa nostra, ci parla di sé e dei suoi romanzi.
Quella di Max Gilardi si può considerare ormai una “saga”. Com’è germogliata in lei l’idea di scrivere dei gialli? Com’è nato il suo protagonista?
Non avendo mai letto libri gialli in tutta la vita quando ho pensato alla signorina Olga non sapevo di star scrivendo un giallo. Me l’ha detto Salani quando ha deciso di pubblicarlo con la fascetta di Marco Vichi: Una Camilleri in gonnella. E Umberto Eco mi ha detto che era un buon libro, persino ironico, pronto per essere sceneggiato. Il mio protagonista è nato come un’esagerazione: alto oltre due metri, napoletano ma con capelli biondicci e occhi chiari. Campione di nuoto. Laureato in Legge ma commissario alla periferia di Milano. Per caso Massimo – come mio figlio (che non gli somiglia). Bello, come maledizione – è difficile essere uomini belli…
Quali sono i suoi modelli letterari?
Credo che a questa domanda nessuno potrebbe rispondere sinceramente. Tutti gli scrittori che ho amato, letti e pochissimi riletti, mi hanno insegnato qualcosa o molto. Non me ne sono accorta. Non mi hanno dato voti. Mi sono rimasti nell’anima e nella testa. La punteggiatura. La frase breve e scattante. Il riflesso di una finestra. Il rumore del mare… A chi devo dire grazie?
Cosa legge di solito e cosa le sembra più interessante nel panorama italiano ed internazionale?
Purtroppo negli ultimi anni ho letto quasi esclusivamente romanzi gialli, italiani, americani, nordici. Non ho imparato a scrivere gialli ma ritengo di aver perduto molto tempo.
Il giallo, il noir, il thriller, spesso a torto considerati generi di consumo, permettono di affrontare tematiche politiche, sociali ed esistenziali. In questo suo ultimo romanzo emerge con forza il tema della giustizia “giusta”, incarnato dalla dolente figura della madre di Giulia, dallo stesso Gilardi e dagli altri personaggi, che si interrogano su colpa e castigo, accusa e difesa, ergastolo e assoluzione, in fondo sull’eterno problema della legge che molto spesso non coincide con il concetto di giustizia.
Quali sono le sue riflessioni in proposito?
Sono quelle, amarissime, espresse da Max Gilardi: i miei clienti (i mei personaggi) non mi piacciono, ma non sono io che li assolvo, è la giustizia. Che non è perfetta. La ringrazio di aver sottolineato la figura della madre di Giulia alla quale ho dedicato il romanzo – come se lo avessi dedicato a tutte quelle donne “uccise per amore”.
Da signora della televisione italiana quale lei è indubbiamente, cosa ricorda con maggior piacere dei suoi trascorsi televisivi? Cosa le piace della tv di oggi e cosa invece cambierebbe?
Ricordo gli inizi, perché sono stati avventurosi, goliardici. Inventavamo qualcosa che non c’era prima di noi, ed è stato fantastico anche se ci guardavano, forse, in mille in tutta Italia. È incredibile da dire ora, ma la TV la facevamo per noi, non per quelli che ci guardavano – quello era un affare della RAI… Noi ci siamo divertiti – e ci siamo impegnati – davvero per noi stessi. Qualcosa di irripetibile. Della TV di oggi mi piacciono le trasmissioni serie (Augias, per esempio) e altre di storia e di costume. Non le chiacchiere urlate. Insomma, si può vivere anche con la TV spenta o sapendo scegliere, il telecomando serve a questo: infatti quello che cambierei lo faccio già premendo un bottone.
E a proposito… sta lavorando ad un nuovo capitolo della serie Gilardi?
Sì, Salani ha due casi di Gilardi nel cassetto. Il primo credo uscirà a febbraio del prossimo anno. Ora ho altri ceppi al fuoco: con Vallardi (Il tovagliolo va a sinistra) e con Ponte alle Grazie (titolo ancora incerto) un romanzo complicato: in nessuno dei due entra Gilardi.
Con TEA invece, in una raccolta con altri sei autori giallisti, pubblicherò (non so quando né titolo) un racconto che riguarda Gilardi da ragazzino, quando, forse, cominciava ad avere il tarlo dell’investigatore – questo è il tema che ognuno di noi è stato chiamato a svolgere sul proprio personaggio. Questo nell’immediato. Poi ho qualche sogno nel cassetto, ma ora è troppo presto per parlarne, persino per me.