Solo che un qualche iddio vendicativo mi chiamasse
Dall’alto cielo, e irridesse: ”Tu, creatura che soffre,
Sappi che il tuo dolore è il mio diletto,
Che del tuo amore frustrato profitta il mio odio!”
Allora sopporterei, tenderei i nervi e morrei,
Rafforzato dal senso d’un ira immeritata;
Mezzo racconsolato dal pensiero, che un più potente di me
Avesse voluto e assegnato le lacrime ch’io piango.
Ma non così. Come accade che la gioia venga uccisa,
E perché avvizzisce la più dolce speranza mai seminata?
Il caso balordo s’oppone al sole e alla pioggia,
E il tempo biscazziere getta per allegria il dado d’un lamento …
Per questi giudici ciechi tanto valeva cospargere
Gioie lungo il mio cammino così come il dolore.
Thomas Hardy
Il caso che suggerisce che cosa è giusto e che cosa no. Il caso che la fa da padrone.
Thomas Hardy, scrittore e poeta britannico del primo ‘900, pone al centro della sua poetica il delicato problema che esiste tra le aspirazioni dell’uomo a vivere in un determinato modo e la vita che poi, concretamente, gli tocca di avere.
In particolare, in questo componimento l’attenzione è indirizzata alla centralità del caso, al capriccio della sorte che ci rende dei burattini nelle sue mani, che ci impedisce ineluttabilmente di essere padroni della nostra volontà, del nostro destino. Quest’ultimo a sua volta si rivela spesso maligno e dispettoso.
Se solo ci fosse una volontà superiore in base alla quale credere che la nostra sofferenza sia voluta davvero, se i nostri dolorosi imprevisti fossero in verità compresi in un progetto superiore, se accontentassero le velleità di un’entità inoppugnabile, la nostra impotenza nei confronti del caso assumerebbe un significato, smetterebbe la sua indignazione. I quesiti verrebbero affidati e risolti nel solco di un’ira immeritata.
Tuttavia, non c’è spiegazione che appaghi, non c’è una risposta sufficientemente esauriente che dia un senso compiuto a tutte le lacrime versate.
Al contrario, il caso, da parte sua, interferisce deliberatamente, cambia, talvolta stravolge completamente le carte in tavola. Per questo a noi non resta che assistere ai suoi capricci, cercando un cantuccio, un angolo in cui ripararci e dal quale ripartire, se possibile.