Scrivere questi appunti di lettura di fine anno, destinati a essere pubblicati il giorno di Capodanno, francamente non mi esalta. Vorrei essere decisamente, totalmente in vacanza e non dovere inseguire il tempo anche adesso, mentre tutto il mondo rallenta, per di più avendo a disposizione un portatile che non solo non è il mio ma ha il difetto fondamentale di essere, appunto, un portatile, con questa tastierina minuscola alla quale non sono mai riuscita ad abituarmi. Al mio infatti collego una tastiera normale (scusate se il linguaggio non è proprio tecnico, credo che tutti comunque capiscano cosa intendo con “tastiera normale”). Insomma, utilizzando questo aggeggio dispettoso non sono proprio in grado di raccontare tutte le impressioni tratte dalle letture del mese che sta per finire. Ho anche un tablet e uno smartphone, ma certo con essi non riesco a scrivere più di qualche mail e qualche post sui social. Così stando le cose, dirò soltanto che sto leggendo con grande piacere La comparsa di Abraham Yehoshua, edito in Italia da Einaudi, un libro interessante anche se lo trovo piuttosto schematico, soprattutto se lo paragono alla complessità delle trame e dei personaggi di altre opere di questo grandissimo autore. Forse la semplificazione è il traguardo finale, la grande conquista di ogni percorso umano, nella vita e nell’arte. Abbandonare gli orpelli, gli attorcigliamenti, ridurre tutto al bianco e nero, al buono e cattivo. Protagonista del romanzo è una famiglia che ha subìto una diaspora: la vecchia madre vive a Gerusalemme, il figlio, Honi, a Tel Aviv, la figlia, Noga, un’arpista, in Olanda. Noga è costretta dal fratello, un manipolatore spudorato, a trascorrere un periodo in casa della madre, mentre questa si trova in una casa di riposo di Tel Aviv per provare a capire se riesce ad abituarsi a quel tipo di vita. La casa non può restare vuota perché il contratto di locazione prevede che in tal caso i proprietari ne riprendano possesso, così tocca a Noga insediarvisi e fare la guardia. Noga, sempre grazie all’invadente interessamento del fratello, occupa il tempo e guadagna qualcosa facendo la comparsa in alcuni film. Ed è l’onnipresente Honi che approfitta di un incontro casuale con l’ex marito di Noga, Uriah, per creare le condizioni di un contatto fra i due. Noga è agli occhi di molti una persona incomprensibile perché non ha voluto avere figli. La madre tiene tutti sulla corda prendendo tempo per decidere se vuole restare a Tel Aviv o tornare a Gerusalemme. Uriah si è risposato e ha due figli e ancora ha domande da porre all’ex moglie e a se stesso. Se non fosse chiaro, i personaggi di questo romanzo mi hanno innervosita. Noga che si fa prendere in trappola da Honi, mentre dire no a volte è necessario; Honi che vuole organizzare la vita di tutti; la madre che sembra godersi il potere meschino di tenere sulla corda i suoi figli; Uriah così legato a una storia defunta. Vi chiederete come mai allora io abbia detto che sto leggendo con piacere questo romanzo. Innanzitutto in queste pagine c’è molto di più delle poche cose che ho buttato giù lottando con la tastiera (le mie nipoti chiedono ogni tanto se vada tutto bene, sentendomi ruggire), c’è Israele, e Gerusalemme con i suoi quartieri, con gli ultraortodossi, c’è il mondo finto del cinema, c’è la fuga dalle proprie radici e l’indissolubilità del legame con la terra da cui veniamo, c’è la maternità, ci sono gli anziani con modi per ciascuno diversi di affrontare l’ultimo tratto del cammino verso la fine. Che devo dirvi, il libro meno riuscito di Yehoshua è pur sempre un gran libro e smuove qualcosa dentro, richiama a galla disagi ed emozioni, mette uno specchio di fronte al lettore e gli permette di vederci dentro parti della propria vita. E adesso chiudo, perché rischio di far volare dalla finestra un portatile che neppure mi appartiene. Pazienza quindi per le altre letture ultimate e in corso, ne riparleremo da un’altra tastiera. Buon 2016!
Rosalia Messina