Giugno, mese di letture e riletture. Tralascio, per mancanza di tempo, le seconde. Quanto alle prime, ho letto, tra l’altro, 1965 Utopia Parkway, l’ultimo romanzo (pubblicato soltanto come libro digitale) di Luca Casadio, psicoterapeuta e scrittore di saggi e di narrativa. Faccio una breve parentesi per segnalare la nuovissima casa editrice on-line Durango, che ha pubblicato l’e-book di Luca e che consiglio di tenere d’occhio per le peculiarità che il fondatore, lo psicologo Massimo Giuliani (con il quale collaborano Massimo Schinco e Ada Piselli), illustra così su Newstown, interessante rivista online: «Durango esordisce con libri di psicologi (veniamo da quel mondo: si comincia da quel che si conosce meglio) ma già pensa ai prossimi territori da percorrere. L’idea è quella di percorrerli saltellando da una parte all’altra dei loro confini: gli e-book di Durango si distingueranno per quella specie di inquietudine che rende scomodo stare dentro ai limiti consueti di una disciplina. (Il nome viene da una grande canzone che è un miscuglio di generi, è cantata in due lingue diverse e ha il sapore delle cose di frontiera)».
Luca Casadio racconta una storia che si svolge, in fondo, tutta nella mente del protagonista, scrittore in crisi (uomo in crisi) che si ritrova a fare i conti, dopo anni di fuga dal passato, con tutto ciò che nella sua vita è rimasto irrisolto, con il dolore non attraversato, accantonato. La memoria è, in questo romanzo, fonte di malessere ma anche strumento (l’unico possibile) per superare gli strascichi dolorosi delle esperienze, strascichi che non serve ignorare. È la storia di un viaggio doppio, da un lato quello che porta (riporta) il protagonista negli Stati Uniti, per una lezione sulla scrittura che deve tenere alla Columbia University, dall’altro quello interiore, in cui il passato viene rivissuto e risistemato, svecchiato, come una casa disabitata alla quale si torna dopo una lunga assenza e che occorre sgombrare dai ciarpami inutili. L’uso di una scrittura essenziale, priva di orpelli e di effetti speciali, dà al duplice viaggio del protagonista il color seppia delle vecchie foto, che si sposa benissimo con la trama.
Un percorso faticoso, doloroso anche, ma necessario, al quale il protagonista non può più sottrarsi. Le emozioni ingabbiate, tenute sotto chiave a suppurare, vengono riportate in superficie, finalmente vissute, e infine, dopo essere state chiamate con il loro nome (colpa, responsabilità, per esempio) possono essere archiviate. E la vena creativa può riemergere, lo scrittore in crisi (l’uomo in crisi) può tornare ad aprirsi agli altri, può uscire dalla trappola delle proprie fobie. La chiave delle nostre gabbie, sembra dirci Luca Casadio, è sempre nella nostra tasca. Le gabbie in cui seppelliamo a volte la nostra vita si aprono dall’interno, sol che si trovi il coraggio di tirare fuori quella chiave e adoperarla.
Accenno anche a un’altra lettura, un’opera prima, il romanzo La dittatura dell’inverno (Mondadori 2015) della mia conterranea Valeria Ancione. L’inverno (freddo e buio) è l’oppressione dei doveri, dei molti ruoli da interpretare; l’estate (calda e luminosa) è libertà e leggerezza. Tra queste due polarità oscilla Nina, la quintessenza della femminilità più tradizionale: moglie ancora capace di scambiare occhiate complici con il marito, madre di cinque figli, con un lavoro che è solo una derivazione di quello del marito libraio, sempre in corsa per accudimenti di vario genere. In questo tran tran faticoso ma in fondo appagante (le certezze, i binari sono rassicuranti, tengono a bada le inquietudini), in cui l’unico spazio che Nina riserva a se stessa è nelle nuotate in piscina, irrompe Eva, una ragazza che la protagonista incontra per caso. E tutto cambia. Leggete il libro e scoprirete come.
Rosalia Messina