Se la raccolta di storie individuali possiede una virtù, questa risiede probabilmente nella sua funzione di antidoto alle generalizzazioni eccessive. La complessità dell’esperienza individuale, con tutta la sua concretezza solida e accidentata, può essere un’utile pietra di paragone per l’astratta linearità delle teorie della storia.
Così Alexander Stille conclude la sua introduzione al libro Uno su mille. Cinque famiglie ebraiche durante il fascismo (Mondadori 1991, traduzione di Davide Panzieri). Le poche frasi citate chiariscono bene l’intenzione dell’autore: egli, infatti, desidera raccontare ciò che ha significato il Fascismo per gli ebrei in Italia, ma non vuole farlo attraverso un arido resoconto o un semplice saggio storico. Preferisce piuttosto mettersi dalla parte della gente che quell’esperienza l’ha vissuta direttamente. Così, sceglie di comporre il suo libro raccontando le storie di cinque famiglie italiane, attraverso testimonianze orali raccolte da lui stesso, ma anche con diari, giornali, lettere, libri e fotografie personali. Leggere questo libro insegna molte cose che non possono essere trovate nei normali libri di storia, e ciò acquista uno speciale significato proprio nel momento in cui i sopravvissuti in grado di raccontarci direttamente la guerra sono sempre di meno.
Stille racconta la storia degli Ovazza e dei Foa di Torino, dei Di Veroli di Roma, di Massimo Teglio, del rabbino Riccardo Pacifici e di don Francesco Repetto a Genova e degli Schönheit di Ferrara. Le cinque parti seguono un ordine cronologico, che parte dalla fine della Prima Guerra Mondiale e arriva fino alla liberazione del 1945. Attraverso una narrazione che segue parallelamente le vicende personali e quelle storiche, il lettore è in grado di farsi un’idea tanto di come erano visti e trattati gli ebrei (e di come sia cambiata l’idea che si aveva di loro con il Fascismo), quanto di ciò che essi stessi pensavano riguardo la loro identità e il loro rapporto con l’Italia e Mussolini.
Due degli eventi che più mi sono rimasti impressi sono l’uscita delle leggi razziali nel 1938, raccontata nella prima e nella seconda parte del libro, e il rastrellamento degli ebrei nel ghetto di Roma avvenuto il 16 ottobre 1943, di cui Stille parla nella sezione dedicata ai Di Veroli. Ciò che colpisce di più nelle testimonianze riguardo l’uscita delle leggi razziali è il fatto che in pochi erano stati in grado di prevederle, e che quindi esse si abbatterono sulla vita degli ebrei italiani come un fulmine a ciel sereno. Una delle leggi che ebbe più ripercussioni, anche e soprattutto a livello psicologico, fu quella sulla scuola. Da un giorno all’altro, sia alunni che insegnanti ebrei si trovarono sbattuti fuori dai loro luoghi di lavoro e studio. In poco tempo le comunità organizzarono delle scuole sostitutive, dedicate esclusivamente a cittadini ebrei. Chi voleva continuare la propria educazione universitaria, tuttavia, doveva andare all’estero. Questa legge fu scioccante perché divise persone che erano state amiche fino al giorno prima, e che in molti casi erano persino troppo giovani per capire fino in fondo ciò che stava accadendo.
Ma il racconto del rastrellamento avvenuto a Roma dopo l’occupazione della città da parte dei tedeschi è ancora più agghiacciante. Solo il primo giorno (perché furono portate avanti più retate) i tedeschi arrestarono 1259 persone, per la maggior parte donne e bambini, poiché gli uomini si erano nascosti pensando che sarebbero venuti a cercare loro, non le loro famiglie. Il ghetto fu letteralmente svuotato, e gli ebrei mandati nei campi di concentramento.
Questo libro è estremamente umano. Ti mette davanti la nuda realtà, ma attraverso gli occhi di chi l’ha vissuta. Ti fa vedere che la Storia viene costruita dagli studiosi spesso tralasciando i piccoli dettagli in grado di far capire che sono state persone vere, in carne e ossa, a far sì che il loro presente diventasse ciò di cui oggi parliamo e discutiamo. In questo libro Stille dà spazio a sentimenti ed emozioni, e mostra qualcosa di diverso rispetto ai soliti saggi sull’argomento. Nello stesso tempo, getta luce su aspetti del Fascismo, e in particolare sul comportamento di Mussolini, che non sempre sono chiari e conosciuti. È un libro che, a mio parere, sarebbe perfettamente in grado di sostituire i voluminosi manuali di storia che siamo obbligati a studiare, i quali, spesso, ci restituiscono soltanto immagini rarefatte e distanti di un tempo che, invece, è stato vissuto da persone vere e vicine, simili a noi.