Si sceglie di resistere per tanti motivi. Si resiste perché non ci piace la condizione in cui ci troviamo e cerchiamo alternative per cambiarla, perché la vita in cui speriamo è diversa da quella che si realizza sotto i nostri occhi ogni giorno, perché la forza del nostro spirito ci dice di non mollare, guardare avanti ed oltre, essere positivi, e credere di potercela fare. Si resiste a volte contro voglia, col desiderio che le cose poi, chissà come, vadano come noi ci auguriamo. In alcuni casi si tratta di una resistenza passiva, dettata dalle circostanze e da un’apatica incapacità di modificare il corso delle cose. Quella resistenza così diventa rassegnazione, una continua attesa di qualcosa che senza la nostra volontà di forza non arriverà.
Diversa fu la decisione di resistere di chi, 70 anni fa, scelse una strada di lotta e di vita, seppur a volte breve e dolorosa. Lo sappiamo benissimo, lo sappiamo tutti. Quei ragazzi di 20 anni credettero in un ideale di libertà e volontà di autodeterminarsi che andava contro le circostanze storiche dell’epoca. Quei ragazzi scelsero un’altra via. Non quella dell’assuefazione, del “ma sì, lasciamo che sia”. Resistettero contro chi voleva di questa bella e luminosa Italia un paese scuro di morte e distruzione. Col cuore pieno di paura e dolore per chi lasciavano dietro di sé, scelsero la lotta libera e ardente contro la morte che pure a moltissimi di loro venne data troppo presto.
Se leggiamo alcune delle loro lettere, contenute nel libro Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana (8 settembre 1943 – 25 aprile 1945) a cura di Pietro Malvezzi e Giovanni Pirelli, le loro sono parole di forza e volontà, di morire solo nel corpo ma non nello spirito. Come scrive Giordano Cavestro (detto Mirko), fucilato a 18 anni il 4 maggio del 1944, “io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. […] Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibile. Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata ma sono sicuro che servirà da esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà”.
Purtroppo il Mediterraneo, questo nostro mare così azzurro, tempo non ne ha dato e non ne dà a chi muore nelle sue acque di lasciare una lettera di addio, poche righe di saluto a chi resta in Africa. Anche quelli che riposano in fondo al mare sono resistenti. Anche loro resistono contro la guerra, l’odio ma soprattutto contro l’indifferenza di chi li abbandona al loro destino. La loro resistenza urla un grido di vita che non è vita dove la guerra semina dolore e povertà. Resistono alla paura della morte in un mare nero di notte e troppo accecante di giorno, resistono agli occhi chiusi e alle orecchie tappate di chi sceglie di non capire. Resistere anche per loro diventa l’unica e ultima scelta possibile.
Se anche quei morti potessero parlarci, o se almeno avessimo delle loro foto e delle lettere, anche le loro parole urlerebbero il desiderio di libertà, di una vita semplice di affetti e famiglia, racconterebbero il dolore di chi muore guardando le sponde di una salvezza che non arriverà.
Oggi a noi tocca resistere contro la nostra indifferenza. R-esistiamo per la vita tutti.