Marzo ha portato con sé un avvio un po’ incerto di primavera e belle letture. Cominciamo dal romanzo di Marco Missiroli, Atti osceni in luogo privato (Feltrinelli). Romanzo di formazione poetico, con molta introspezione, bei dialoghi e personaggi difficili da dimenticare. Storia di una famiglia non banale, in bilico tra Parigi e l’Italia, raccontata in modo non banale da Libero, a partire dal primo barlume di intuizione, a dodici anni, dell’esistenza di un mondo oscuro e affascinante cui solo gli adulti hanno accesso e che ha a che fare con il sesso e i sentimenti. Storia di Libero e delle sue relazioni con le donne, creature imprevedibili e misteriose. Libero cresce, come poi crescono tutti, attraverso discese agli inferi e risalite verso la luce, cresce con le letture, con il cinema, con gli amici, con i saggi e non convenzionali consigli degli adulti che costituiscono per lui punti di riferimento: il padre, la madre, il nuovo compagno della madre, un’amica di famiglia bibliotecaria, affezionata alla sua libertà, un datore di lavoro che diventa un prezioso amico. Cresce anche attraverso i lutti e approda infine a una consapevole maturità.
Un altro romanzo di formazione è il non recentissimo ma attualissimo Tutti giù per terra di Giuseppe Culicchia, che ho letto nella versione remixed; pubblicato nel 1994 da Garzanti, il romanzo è stato infatti rivisitato dal suo autore che ha calato la storia del disorientato Walter, originariamente ambientata negli anni Ottanta, ai giorni nostri (Mondadori, 2014). Walter, ragazzo di Torino senza grandi prospettive, alle prese con il servizio civile («il buco attraverso cui finirò dritto sparato in quella fogna chiamata mercato del lavoro», lo studio (in un’università grigia, in cui per Walter, studente di Lettere, l’unico corso interessante è quelllo su Nietsche), le ragazze (è ancora vergine, Walter, con scarsa voglia di rivelare questo dettaglio e pieno di dubbi sul sesso), la famiglia (con i genitori che comunicano solo attraverso il figlio, portavoce di messaggi provocatori e insultanti, e l’amata zia Carlotta). Disorientato ma combattivo in un suo modo placido e testardo, questo ragazzo intenzionato a resistere all’omologazione di un’epoca supertecnologica, per esempio attraverso la piccola rivoluzione di non possedere e non voler possedere un cellulare.
E poi ci sono Giovanni e Aurora, i protagonisti del romanzo di Nadia Terranova, Gli anni al contrario (Einaudi Stile libero). Due giovani degli anni Settanta, in una storia emblematica e popolata da personaggi emblematici: le giovani donne che scoprono il femminismo, il padre fascistissimo di lei e la famiglia di sinistra vecchia maniera di lui, gli amici del movimento prima e della lotta armata poi, la tossicodipendenza, il recupero in comunità, l’AIDS. Lo sto ancora leggendo, ma mi sento di consigliarlo sia a chi in quegli anni c’era, sia a chi ne ha soltanto sentito parlare, perché di quei fermenti il romanzo di Nadia Terranova, attraverso il prendersi, perdersi, ritrovarsi e ancora scegliersi di Aurora e Giovanni, la crescita della figlia, la piccola Mara, offre una cronaca attenta e priva di retorica che evita tanto la mitizzazione quanto la demonizzazione.
Rosalia Messina