Tra le opere di Platone, il Simposio resta sicuramente la più celebre e osannata dai lettori. Attraverso la consueta forma letteraria del dialogo, tutta la vicenda avviene attorno a quello che sembra apparentemente un banchetto, definito in greco ”simposio” (da syn pinein, che significa “bere insieme”). L’usanza vuole che intorno a questi commensali, dopo aver cantato e assistito a uno spettacolo, gli ospiti comincino a bere e a discutere di un argomento, in questo caso l’Amore.
Nel simposio, né il bere o l’argomento da trattare avevano luogo arbitrariamente: in questa sorta di riunione, tutto era regolato da norme ben definite, il cui rispetto era garantito dal “simposiarca”, capo del simposio. Ciò che, con imprudenza, definiamo “banchetto”, era in realtà un rito di una certa rilevanza sociale, assumendo spesso una profonda e complessa dimensione religiosa. Il simposio era una di quelle esperienze atte a rappresentare il modello etico della società greca. Nessun ascetismo, e nemmeno delle frustranti privazioni: i greci adottavano una certa misura non soltanto in ciò che dicevano, ma anche col vino che si consumava a tavola.
Il Simposio platonico, che ha luogo nella casa di Agatone (un giovane autore tragico), è un documento fondamentale per conoscere come gli antichi concepivano l’amore, in una società così diversa e lontana dai nostri tempi, per sensibilità e cultura. Gli ospiti ne parlano come di un rapporto che lega due persone di sesso opposto, o dello stesso sesso.
Di fondamentale importanza è il celebre mito dell’androgino. In origine, racconta Aristofane nel dialogo, esistevano tre tipi di esseri umani. Tutti erano di forma sferica, e si muovevano su quattro mani e quattro piedi. Ciascuno aveva due volti e, ai lati della sfera, due organi sessuali. Alcuni avevano due organi sessuali maschili, altri due organi sessuali femminili. Quelli che, invece, possedevano sia l’uno che l’altro erano gli androgini, o ermafroditi. Un giorno, divenuti troppo arroganti, gli esseri umani vennero puntiti da Zeus e tagliati in due parti. Da allora tutti gli esseri umani sono condannati a cercare, eternamente, ognuno la propria parte.
Ciò che si evince dalla lettura dell’opera è un elemento cardine dell’etica sessuale greca, cioè l’importanza culturale, per non dire pedagogica, della pederastia (quella che noi oggi denunciamo come “pedofilia”). Ad ogni modo, a discapito dei luoghi comuni e di varie dicerie, in tutta l’opera non vi è traccia dell’omosessualità. O per lo meno quella intesa in termini moderni.
Riguardo al rapporto sessuale tra due individui dello stesso sesso, i greci valutavano positivamente soltanto quello tra un allievo e il proprio educatore. Nell’età in cui il giovane non era ancora uomo, frequentare l’amante/educatore era l’unico modo attraverso cui poteva apprendere i valori fondamentali dell’amore, dell’amicizia e della polis. Ciò dimostra quanto sia stato complesso il rito del corteggiamento pederasta, secondo il quale l’adulto doveva provare di non essere attratto soltanto dalla bellezza fisica del ragazzo, mentre questi doveva assicurarsi che le intenzioni del suo corteggiatore fossero serie, e che nutrisse nel suo cuore stima e nobili sentimenti. Una volta raggiunta la maggiore età, l’ex discepolo necessitava di cambiare ruolo, scegliersi un posto in politica, in guerra e in amore. Pene: il biasimo e la vergogna.
Il Simposio di Platone resta il trattato sull’amore più esaustivo e completo pervenutoci dall’antichità, un’opera d’importanza capitale non soltanto dal punto di visto letterario e filosofico, ma anche storico. Quasi come se fosse un compendio di pedagogia, l’opera è il più poetico e fedele omaggio all’etica sessuale greca, e particolarmente rivelatrice sul fenomeno sociale della pederastia, per noi totalmente singolare e conturbante, ma che in questo caso è una meta obbligatoria per conoscere e comprendere la cultura greca in tutte le sue manifestazioni.