Ma nessuno sa quanto, solo chi l’ha vissuto sa quanto si sta male. (…)
Quando il bambino piccolo piange e quello grande respira soltanto, come un gatto che non deve farsi trovare.
(…) E tu nemmeno li guardi, i tuoi figli, perché semplicemente non li vuoi tra le palle. Perché non vorresti avercele mai portate le tue palle nel mondo.
Il libro di Margaret Mazzantini (edito da Mondadori, 2011) e al cinema dal 5 Marzo porta sulla copertina un titolo dalle idee molto chiare: “Nessuno si salva da solo”.
Delia e Gaetano non si amano più. Si ritrovano ad una cena, l’ultima, che si concedono forse per incolparsi, ferirsi, amarsi ancora un po’. Forse non lo sanno nemmeno loro perché continuano a vedersi. Delia costretta a crescere da sola Cosmo e Nico, figli lacerati e annebbiati da questo vortice di rabbia, che non hanno la stabilità, la sicurezza per vivere nel mondo. Gaetano ferito e solo come un cane, che vorrebbe solo non sentirsi fallito come suo padre. Ed è invece così che si sente. Giorno dopo giorno.
Nessuno si salva da solo. Da soli ci si può solo perdere, scoprirsi, amarsi e odiarsi, ma salvarsi no. La storia di Delia e Gaetano è una storia comune, la storia di una coppia che è stata tale e che ora non lo è più. Entrambi tra i trenta e i quarant’anni, due figli maschi e una casa comprata assieme in cui ora ci abita solo la madre Delia con i figli. Mentre il padre Gaetano se ne è andato a vivere in un residence, qualunque. Come capita spesso di questi tempi.
Ancora non è chiara a nessuno dei due la responsabilità di questa rottura, della fine di un amore che sembrava potesse essere eterno e che invece sembra essere naufragato. Nessuno dei due ha capito il perché è successo tutto. Nessuno dei due ha ancora trovato la pace o una mera soluzione alle loro vite che trascorrono così. Giorni uguali. Identici. Faticosi.
Una cena in un ristorante all’aperto può contribuire a riaprire il nodo stretto allo stomaco dalla rabbia e dal digiuno della cara e amata felicità. Tutte le pagine di questo romanzo di Margaret Mazzantini sono essenzialmente fondate sul sentire di queste anime speciali, sensibili e fragili. Pagine che ti travolgono per lo stile incalzante, coinvolgente, schietto, umano e quotidiano. Ti travolge senza mezzi termini con discorsi di una crudeltà truce, priva di sfumature e di pietà. Si esprime con un’onestà disarmante che ti lascia indelebile un segno sulla pelle per tutta la vita, un segno che raramente potrai dimenticare.
Il racconto è un collage di scene di vita, cene e incontri, amori ed errori. Circostanze sbagliate al momento sbagliato, quelle in cui una sola parola basta a rovinare tutto e che se non detta avrebbe cambiato l’intero quadro di una giornata, ormai rovinata per sempre.
Allora le era uscita la frase fetente, da manuale del cazzo che più del cazzo non si può.
-Mi sono sentita violentata
Gae s’era staccato da lei come uno morso da una vipera, terrorizzato, pieno di veleno che ormai è entrato e scende. Le vene blu, il dolore negli occhi. Offeso. Più che offeso, sparato alle spalle. Uno che nemmeno merita di vedere la morte in faccia.
Se n’era andato mezzo nudo, sbattendo contro tutto, come un’ombra senza più un corpo da seguire.
Corrono continue immagini, frame di ricordi.
Molto lucide le analisi dei dettagli, cristalline sulle pagine descrizioni di stati d’animo e sentimenti, costante la sensazione di un’analisi senza pietismi della fine di un amore di una coppia che si butta a capofitto nel dolore vivo del disfacimento della loro storia d’amore, senza mai abbassare lo sguardo, o nascondere la testa.