Scambi di persona, equivoci, atti di infedeltà: sono le situazioni tipiche della commedia d’intreccio, ma i personaggi sono dèi ed eroi, storicamente più adatti alla tragedia. È da questa straordinaria fusione che nasce Amphitruo, definita dal suo autore – parliamo di Plauto, uno dei più grandi nomi del mondo classico – una tragicommedia: quest’ultimo è un termine nuovo per il mondo antico, e destinato a conoscere grande fortuna nella storia del teatro occidentale.
È lo stesso Plauto a sentire il bisogno di giustificare la scelta poetica nel Prologo, in cui rivendica con orgoglio quella che definisce una miscela. L’ Anfitrione è l’unica commedia di Plauto a soggetto mitologico: scritta in cinque atti – più il suddetto Prologo – nel III secolo a. C., narra la vicenda avventurosa di Giove, che arriva a Tebe per conquistare la bella Alcmena. Il padre degli dèi assume le sembianze di Anfitrione, signore della città e marito della donna; aiutato dall’astuto e sagace Mercurio, Giove approfitta dell’assenza di Anfitrione – impegnato in guerra – per passare una dolce e appassionante notte d’amore con la dama tebana. Se Giove veste i panni del generale che dà il titolo all’opera, Mercurio impersona Sosia, il servo di Anfitrione. Ma improvvisamente i due personaggi “doppiati” tornano a casa: Sosia sembra vivere una vera e propria crisi d’identità, mentre Anfitrione accusa di adulterio la moglie, la quale sostiene chiaramente di essere stata con lui fino a poco tempo prima.
Il paradosso continua con una serie di vicende, che trovano il loro scioglimento con l’intervento di Giove, il quale – vero e proprio deus ex machina – rivela alla donna che il tutto “è stato solo uno scherzo”. Alcmena, intanto, partorisce due gemelli: Ercole, figlio del dio (che dà subito mostra della sua incredibile forza strozzando due serpenti) e Ificle, figlio di Anfitrione. E proprio il generale, messo di fronte all’evidenza dei fatti, crea il gran finale, accettando di buon grado il tradimento sia perchè ormai certo della buona fede della moglie sia perchè compiaciuto di aver gareggiato con il padre degli dèi.
Amphitruo è stata ribattezzata la commedia della duplicità: Ercole e Ificle, Anfitrione e Giove, Sosia e Mercurio, con Alcmena al centro dell’intrigo. Cenno particolare merita la figura di Sosia, che da servo della commedia plautina diventa figura archetipica e addirittura nome comune per indicare il “doppio”; e splendidamente fine è la descrizione, da parte di Plauto, dello stupore dell’uomo nell’incontrare un altro se stesso.
Il successo dell’opera ha travalicato i secoli ed ha conosciuto numerose interpretazioni e rielaborazioni. Celebre, su tutte, l’ Amphitryon di Molière del 1668.