Non, Vita, perché tu sei nella notte
la rapida fiammata, e non per questi
aspetti della terra e il cielo in cui
la mia tristezza orribile si placa:
ma, Vita, per le tue rose le quali
o non sono sbocciate ancora o già
disfannosi, pel tuo Desiderio
che lascia come al bimbo della favola
nella man ratta solo delle mosche,
per l’odio che portiamo ognuno al noi
del giorno prima, per l’indifferenza
di tutto ai nostri sogni più divini,
per non potere vivere che l’attimo
al modo della pecora che bruca
pel mondo questo o quello cespo d’erba
e ad esso s’interessa unicamente,
pel rimorso che sta in fondo ad ogni
vita, d’averla inutilmente spesa,
come la feccia in fondo del bicchiere,
per la felicità grande di piangere,
per la tristezza eterna dell’Amore,
per non sapere e l’infinito buio…
per tutto questo amaro t’amo, Vita.
Camillo Sbarbaro
Senza voler fare parallelismi azzardati e fuori luogo, potremmo quasi dire di essere dinanzi al Walt Witman italiano.
A dispetto, però, dell’eminente produzione poetica conservata, Camillo Sbarbaro è per il grande pubblico poco più che un nome. Caduto molto presto nel dimenticatoio, la letteratura italiana stenta a riconsegnare il giusto posto a questa importante voce del panorama poetico italiano della prima metà del ‘900.
Lontano dalla pomposità e dalle forme fastose, la sua poesia si nutre di cose semplici nel contenuto e nello stile.
Le sue parole sono caratterizzate dalla cifra dell’ <<esemplare>>. La letteratura è il luogo del rifugio e della tesaurizzazione. Leggere i suoi versi è tuffarsi nella psicologia di un profondo conoscitore della vita, ma allo stesso tempo distaccato da essa. Senza pretese né velleità di grande letterato pubblico, Sbarbaro ha fatto della sua poesia il modo attraverso cui indagare e descrivere il mondo visto “con gli occhi di un bambino”.
In questi versi si celebra la vita. Sì, pur nelle sue profonde e costanti contraddizioni, pur nell’incertezza e nella precarietà. Tuttavia, Sbarbaro fa un’operazione inversa rispetto al solito elogio. Piuttosto si tratta di un encomio del “non”.
L’autore infatti non nega la cifra amara dell’esistenza umana, tuttavia il suo non è disprezzo quanto piuttosto stupore. La vita ha in sé un assoluto fascino, racchiude un mistero di cui il poeta comprende il valore assoluto.
Per tutto questo amaro t’amo, Vita.
Sicuramente, anche noi spesso, più umilmente, ci ritroviamo a dire la stessa cosa.