«Io porto ferma openione, signori miei, che nostro Signore Dio vi abbia spirato la sua grazia a far la determinazione che conchiusa avete di non voler piú attendere a la pratica di dare una de le vostre signore figliuole per moglie al signor conte di Gaiazzo. Il parentado veramente è molto onorato e nobile, essendo il conte de la antichissima casa Sanseverina, che giá molti secoli ha posseduto e possede nel Reame di Napoli ducati, prencipati, contee e baronie e stati opulentissimi, da la cui stirpe sono usciti uomini eccellentissimi, cosí ne la milizia come in altre vertú».
Matteo Bandello nacque nel 1485 a Castelnuovo Scrivia; all’età di dodici anni entrò nel convento milanese di Santa Maria delle Grazie, ricevendo la prima educazione. Sotto la tutela dello zio Vincenzo, priore dei Domenicani a Milano e dal 1501 generale dell’Ordine, egli si trasferì a Pavia, completando la preparazione sacerdotale e dedicandosi anche allo studio delle lettere. A Genova entrò nell’ordine dei Domenicani, pur continuando a condurre una vita mondana e avventurosa.
Tornato a Milano in seguito alla morte dello zio, il Bandello frequentò i circoli degli umanisti e si legò alla famiglia dei Bentivoglio, per la quale svolse delle mansioni recandosi anche a Parigi tra il 1508 e il 1509, svolgendo incarichi diplomatici alla corte di Luigi XII.
Nel 1515, dopo la battaglia di Marignano, si rifugiò a Mantova, chiedendo protezione ai Gonzaga; qui si accostò ai circoli di intellettuali e aristocratici, affermandosi come scrittore. Dopo aver abbandonato l’abito sacerdotale, il Bandello si pose al seguito di Cesare Fregoso.
Tuttavia, nel 1541 si trasferì in Francia accompagnando la moglie e i figli del Fregoso, ucciso per ordine di Carlo V. Essendo riuscito ad ottenere i favori del re venne nominato vescovo di Agen, città in cui morì nel 1561.
Se tra le opere minori dello scrittore si possono menzionare il canzoniere amoroso e i “capitoli” in terza rima Le tre Parche, la sua fama è dovuta certamente all’ampia produzione di novelle. I tre libri del Novelliere (1554), di cui un quarto uscì postumo a Lione, testimoniano sicuramente l’importanza e l’originalità dell’autore nel panorama letterario dell’epoca. Un tratto innovativo della narrativa bandelliana riguarda l’allontanamento dal modello decameroniano: il rifiuto dell’imitazione boccacciana è stilistico, ma anche, e soprattutto, poetico. Le novelle del Bandello nascono infatti nell’ambito delle corti, che ne costituiscono anche il pubblico principale; per questo motivo viene eliminato l’artificio della cornice e ogni racconto ha così una propria autonomia. Al contrario, la presenza di una lettera dedicatoria all’inizio di ogni novella sembra rimandare alla soluzione quattrocentesca che Masuccio Salernitano adottò nel Novellino.
Anche dal punto di vista della lingua Bandello scelse una soluzione originale, ribadendo una propria identità: aderì alla soluzione cortigiana, rifiutando i precetti del Bembo.
Significativa è inoltre l’influenza che le novelle bandelliane ebbero su Shakespeare, dalle quali egli trasse ispirazione per le commedie Molto rumore per nulla e La dodicesima notte. Sembra che anche la celeberrima tragedia Romeo e Giulietta si sia ispirata ad un testo del Bandello, il quale aveva a sua volta rielaborato un racconto di Luigi Da Porto, l’Istoria novellamente ritrovata di due nobili amanti (1529).