C’era una volta una matita.
Nient’altro che un mozzicone, consumato e smangiucchiato, caduto non si sa quante volte e temperato altrettante.
Un giorno si svegliò triste.
Si sentì inutile.
Quante penne, piene d’inchiostro e con i colori che non avrebbe mai avuto!
Quanti pennarelli gessetti tempere oli!
E ora ci si mettevano anche i computer e i telefoni…
Un mondo di roba per scrivere e colorare, bella come non sarebbe mai stata!
I suoi trucioli li portò via il vento.
Fino a una montagna. Che fece sentire la sua voce antica:
“Sei figlia dei miei fianchi, matita. La tua anima è nata dalle mie pietre, come i diamanti di cui sei sorella”.
Fino a un albero, che s’intenerì e fece tremolare le sue foglie:
“Ho dato corpo col mio legno a tanti alberelli per scrivere, che viaggiano e fanno viaggiare con la fantasia dove io non potrò mai andare”.
Una bambina usò i trucioli per fare una gonnellina a un bambolotto, un altro ne fece corolle per dei fiori di carta.
Uno scrittore sospirò.
“Amo le matite. Discrete più delle penne… ci prendo appunti, anche sui libri. E poi… sono segnalibri fantastici! Ecco, in questo momento ne vorrei proprio una per scrivere l’ovetto del mio nuovo romanzo”.
Disegnatori, vignettisti, ritrattisti… carcerati affamati di parole e immagini, malati che appuntavano storie di vita e di morte, sognatori che con un niente costruivano mondi…
Camerieri che prendevano comande e disegnavano sui tovaglioli, progettisti che volevano schizzare piante… un mondo di gente ancora innamorata e bisognosa di quel mozzicone di legno e grafite.
La matita prese coraggio e si fece scivolare ai piedi di una coppia di ragazzi seduti su una panchina, in un parco.
“Sarà il nostro pegno d’amore. Ci scriveremo l’album dei nostri ricordi”.