Dicembre, dal punto di vista lavorativo, comporta un’accelerazione che dura fin quasi a Natale. Poi tutto rallenta e questo, per me, significa immersione nei libri, raggiungimento delle sospirate ultime pagine di un romanzo, inizio di nuove letture.
Tralascio, in questi appunti mensili, i libri iniziati a novembre e fniti a dicembre e mi concentro sulle letture più recenti.
Innanzitutto I ragazzi Burgess, di Elizabeth Strout, autrice che avevo già apprezzato (e dico poco, è stata una folgorazione) in Olive Kitteridge e Amy e Isabelle. Jim, Bob e Susan sono fratelli, cresciuti in una piccola città del Maine, in cui solo Susan è rimasta a trascinare una vita squallida. Bob e Jim vivono a New York e sembrano essersi scrollati di dosso modi e mentalità tipici della provincia. Ma i legami familiari sono pressoché invincibili e da una strana bravata di Zachary, figlio di Susan, nascono conseguenze inimmaginabili: la vicenda, che diventa un caso giudiziario e mediatico, coinvolge tutti i Burgess e dà luogo a una spola di Bob e Jim fra Shirley Falls e New York. Tutto davvero inizia e finisce nella famiglia, anche eventi di rilevanza pubblica, a ben cercare, hanno radici lontane, nel disagio che accompagna chi si è formato in una famiglia disfuzionale (ma, come dico sempre, dubito assai che ne esistano di diverse). La storia dei ragazzi Burgess, segnata dalla morte del padre in un incidente causato da un gioco infantile, della loro crescita e dei destini che si scelgono (nella misura in cui il destino si sceglie), si intreccia a quella dell’immigrazione dei somali e delle complicate relazioni fra comunità reciprocamente sospettose e spaventate dalla diversità.
Ancora il disagio familiare è all’origine delle drammatiche scelte di Genna Meade, protagonista del romanzo di Joyce Carol Oates dal titolo Ragazza nera ragazza bianca. La storia dei nodi mai risolti nella famiglia intellettuale e strampalata di Genna costituisce una sorta di trama in controluce, sottostante alla vicenda principale, incentrata sullo sforzo della protagonista, una ragazza bianca che studia in un college fondato dai suoi antenati, di farsi benvolere dalla strana compagna di stanza, Minette Swift, cattolica, nera, aspra e scostante, egocentrica e per nulla colpita dalla gentilezza e dalla disponibilità di Genna. La persecuzione razzista cui Minette viene sottoposta da alcune allieve del college, l’emergere graduale in lei di una vena di follia che si esprime con manie religiose, infine la sua morte in un incendio da lei stessa provocato segnano profondamente la vita di Genna, che sente di non aver fatto abbastanza per evitare quella morte. Dopo quell’episodio della prima giovinezza la sua vita subisce una svolta e cambia in modo imprevedibile.
Ho letto inoltre: Una notte ho sognato che parlavi, di Gianluca Nicoletti; Smith&Wesson, di Alessandro Baricco; Avrò cura di te, di Chiara Mezzalama; Nessuno sa di noi, di Simona Sparaco; L’amore bugiardo di Gillian Flynn. Mi sono piaciuti tutti, in misura diversa e per ragioni diverse: meno di tutti l’ultimo, molto ben costruito all’inizio e poi travolto dalla tendenza americana a strafare che rende inverosimili alcuni sviluppi del duello mortale (in senso proprio) fra una moglie molto intelligente e squilibrata e un marito bamboccione ma abbastanza in gamba da intuire le oscure trame della sua antagonista. Del libro di Nicoletti, che descrive la vita di un giovane autistico, figlio dell’autore, e la complicata vita di tutta la famiglia, mi hanno copito la leggerezza e l’ironia lucida, uniche armi, credo, per fronteggiare situazioni di grandissima difficoltà (non uso termini più drammatici perché mi sembra rispettoso nei confronti di Nicoletti, che ha scelto un’ammirevole pacatezza di toni). Smith&Wesson all’inizio non mi aveva suscitato alcun’eco. Mi ha preso poi gradualmente, man mano che la storia si delineava e il tentativo visionario dei tre protagonisti di scendere giù per le cascate del Niagara prendeva corpo. Il libro di Chiara Mezzalama racconta le solitudini simili e diverse di due donne, Bianca e Yasmina, e del loro incontro, in un viaggio che non è solo spostamento da un luogo a un altro ma anche metafora della trasformazione, della conquista di sé, dell’evoluzione; quello di Simona Sparaco l’esperienza della maternità negata, di un bambino che nasce, “deve” nascere morto per la grave patologia da cui è affetto, della solitudine di certe scelte. Storie intense, piaceranno forse più alle lettrici che ai lettori, ma poi chi lo sa, chi può dirlo? E alla fin fine, non importa.
Rosalia Messina