Si sa che le biografie dei pittori sono tanto interessanti quanto un bel racconto di fantasia, non prive di avventure, intrighi, grandi amori e tradimenti. Quella di Rembrandt, trasformata in romanzo da Giacinta Caruso, non è da meno.
Ne Il triangolo di Rembrandt l’autrice racconta la storia del pittore, di sua moglie Saskia e delle sue amanti, intrecciandola al mistero costruito intorno ad Agneta, infermiera danese dal passato oscuro, di cui solo alla fine si verrà a scoprire la vera identità (e la vicenda che l’ha costretta a celarla). Ambientata ad Amsterdam, la storia contiene elementi fortemente tragici, come la morte dei primi tre figli della coppia sposata, e si concentra prevalentemente sulla descrizione delle dinamiche tra il pittore e le donne della sua vita, tralasciando purtroppo di descrivere il contesto storico della vicenda, tanto quanto pochi sono gli accenni alla vita della città nel diciassettesimo secolo. Sarebbe stato interessante, a mio parere, mettere in relazione la vita del pittore con le vicende storiche e politiche dell’Olanda seicentesca.
Nel complesso il romanzo è molto scorrevole, ha uno sviluppo lineare e cronologicamente ordinato. Sicuramente risveglia l’interesse per la figura di un pittore così famoso, di cui magari si conoscono le opere, ma non anche la sua vita e le persone che l’hanno popolata. Il personaggio che più mi ha colpito è sicuramente la moglie del pittore, Saskia, una creatura che sembra essere stata maledetta dal destino, la cui bellezza tanto osannata non basta a salvarla da una fine crudele, triste e straziante. Poco chiara, tuttavia, la vera natura della sua relazione col marito: a tratti sembra essere delle più genuine (spesso si sottolinea che il loro è stato un matrimonio d’amore), ma è raro che nel romanzo si riscontrino scene in cui questo amore viene effettivamente portato alla luce.
L’impressione più forte che ho ricavato dalla lettura di questo libro è quella di essere davanti ad un’opera con molto potenziale non sviluppato. In effetti, i personaggi appaiono tratteggiati, non descritti. Gli ambienti sono evanescenti, gli sviluppi dell’intreccio frettolosi. L’idea di raccontare cosa si cela dietro le opere di un grande pittore è senza dubbio accattivante, tuttavia si sarebbe potuto scavare un po’ più a fondo. Mi ha leggermente turbato il fatto che i personaggi risultino, ad un certo punto, quando il ménage à trois fra il pittore e le sue due amanti si fa evidente, delle macchiette: un uomo e due donne che obbediscono agli stereotipi (lui sprezzante, interessato al suo lavoro, lussurioso, loro manipolatrici, avide, calcolatrici), senza avere la forza di uscirne.
La conclusione della vicenda è velocissima, e viene riservato più spazio alle rivelazioni riguardo ad Agneta che alla fine della vita di Rembrandt e della sua famiglia, relegata in un semplice epilogo. Alla fine, il romanzo risulta senza dubbio gradevole, ma poco curato.