George Santayana, all’anagrafe Jorge Agustín Nicolás Ruiz de Santayana y Borrás, deve tutta la sua preparazione accademica ed intellettuale ai prestigiosi ambienti universitari statunitensi; ciò nonostante, non smise mai di sentirsi lontano dalla sua terra natia, la Spagna.
Filosofo, scrittore, poeta e saggista, viene indicato più volte come esponente dei cosiddetto realismo critico, dove con questo concetto si tenta di riassumere l’intero processo critico del suo percorso filosofico.
Ogni sua opera, redatta sempre in inglese in ragione della sopracitata educazione americana, lo porta ad essere considerato di fatto un filosofo statunitense, benché – come alcuni dei suoi allievi affermavano, su tutti il futuro premio Nobel per la Letteratura Bertrand Russell – il suo spirito fu sempre intimamente legato alla sua patria d’origine.
Una volta intrapresi gli studi tra la Latin School di Boston e l’Università di Harvard, proseguì il suo percorso formativo a Berlino e a Cambridge, ampliando ulteriormente la sua cerchia di conoscenze e di contatti accademici. Ritornato ad Harvard, vi insegnò dal 1898 al 1912, anno del trasferimento definitivo nella tanto amata Europa, acquietando così il suo spirito e continuando a sviluppare la sua linea di pensiero basata sul realismo dualistico.
Profondamente amante dell’uomo sotto ogni sua forma ed aspetto, pubblicò diciannove opere, tra cui il successo editoriale “The Last Puritan: A Memoir in the Form of a Novel”, incentrato sul continuo scontro dualistico tra i due aspetti dello spirito e della ragione dell’uomo, sebbene con sfumature e concettualizzazioni ben più complesse.
Per Santayana, aiutare la cultura significava soprattutto sostenere gli uomini, ragion per cui si dedicò a supportare progetti editoriali di pensatori ritenuti validi, annoverando tra questi proprio Bertrand Russell, e dimostrando quindi di avere un occhio clinico al riguardo.
Per il filosofo, l’uomo stesso deve fare i conti con il palesarsi graduale della propria schietta matrice primordiale, esplicitatasi man mano sia dal lato della storia individuale, che da quello della storia comune: ragione e spirito si succedono grazie alle esperienze di vita attive ed alla contemplazione, dando vita ad uno peculiare dualismo fondato su uno spaccato di realtà scisso tra esistenza temporale soggetta al divenire, ed essenza atemporale immutabile.
Ma come uscire dalla stretta morsa di un razionalismo che sarebbe in grado, secondo Santayana, di riconoscere anche il piano delle essenze? È proprio a questo punto che la parte più antica – e diremmo noi più umana – ritorna a galla: essa ricorre alla fede animale per rielaborare concetti che superino la sfera del tempo, con lo scopo di ottenere strumenti conoscitivi da utilizzare per andare oltre quello che altrimenti sarebbe il regno dello scetticismo assoluto.
Questa ambivalenza tra natura e razionalità, pienamente residente nell’uomo e negli atti che ne configurano l’esistenza, è alla base del pensiero di George Santayana, da sempre fermo sostenitore di un rapporto equilibrato tra “forze” in grado di governare il mondo, e di conseguenza la vita stessa.