Fra il 2002 ed il 2008 le organizzazioni internazionali per i diritti umani, la stampa mondiale, i canali diplomatici di mezza Europa, Usa e Sud America tennero il fiato sospeso attorno alla vicenda del rapimento della candidata Premier franco colombiana Ingrid Betancourt. Figlia di un diplomatico e di una ex senatrice ed ex Miss Colombia, Ingrid aveva 41 anni quando fu rapita da un gruppo di guerriglieri armati delle FARC (Forze armate rivoluzionarie). La sua è la storia di una attivista, di una politica candidata alla Presidenza di una delle Nazioni più complicate e corrotte del Mondo. Perché dedicare a lei uno spazio su un portale di letteratura? La risposta sta nel fatto che la Betancourt subito dopo la sua liberazione ha iniziato un percorso di rivincita su quei 6 anni di black out dal resto del mondo e lo ha fatto attraverso lo strumento che a suo avviso è stato il più naturale e consapevole: la scrittura.
E’ divenuta infatti una scrittrice. I suoi primi due libri “Non c’è silenzio che non abbia fine” (pubblicato nel 2010) e “Lettera dall’inferno” (2008) raccontano gli anni della prigionia. Non vengono tralasciati i momenti più duri, lo sconforto come pure i tentativi di fuga e la speranza della liberazione per lei e gli altri 12 prigionieri di diverse nazionalità con cui condivise più di mille giorni di sequestro. Dalla giungla equatoriale, tra continui spostamenti e nuove gabbie, l’unico contatto con il resto del mondo era una piccola radio che consentiva ad Ingrid ed ai suoi compagni di tenere accesa la fiamma della speranza della liberazione poiché la radio forniva dettagli del grande impegno delle associazioni internazionali e dei familiari della Betancourt per cercare un accordo con i guerriglieri. In un estratto di Lettera dall’inferno scrive rivolgendosi alla madre Yolanda Pulecio: “…qui la vita non è vita, è solo un lugubre spreco di tempo. Vivo o sopravvivo, su un’amaca tesa tra due pali, ricoperta da una zanzariera e da una tenda che fa da tetto e mi lascia pensare che ho una casa…Qui niente è di qualcuno, niente dura, l’unica costante sono l’incertezza e la precarietà” (cit, pag 21)
Una testimonianza la sua che è anche una lezione di politica, di fede e che traccia i confini della debolezza e della disperazione umane. In una recente intervista la Betancourt ha chiarito il suo bisogno di raccontare della sua esperienza, quasi una catarsi, quando afferma che
“Nella jungla ho sofferto di un tale vuoto intellettuale, una tale noia che scrivere è diventata una questione di recuperare il tempo perduto. la scrittura- dice ancora la franco colombiana- è uno straordinario cammino verso se stessi. Non un’evasione. E non per forza una terapia. Nel mio caso, è un’attività, ludica all’inizio, ma che diventa essenziale, essendo uno strumento meraviglioso per conoscersi”.
Trasferitasi definitivamente in Francia, a Parigi, dove vive accanto ai figli Melanie e Lorenzo oggi giovani adulti, la Betancourt ha deciso di abbandonare momentaneamente la vita politica e l’attivismo dedicandosi agli studi di teologia e filosofia; ha già scritto una tesi in teologia della liberazione poiché per lei “la teologia della liberazione pone una domanda fondamentale: che fare della propria fede? Se la mia spiritualità mi rende insensibile al mondo, allora ho forse compreso male il messaggio.”
Il suo nuovo romanzo, il primo non legato alle sue vicende personali, si intitola “La linea blu” ed è stato pubblicato in Francia da Gallimard qualche mese fa. Si tratta di un romanzo storico, ambientato nell’Argentina degli anni Settanta e racconta delle vicende dei protagonisti Giulia e Theo due giovani simpatizzanti del movimento dei Monteneros che si opponevano alla dittatura
Per usare le parole di Elie Wiesel, che ha curato la prefazione a “Lettera dall’inferno”, questa combattente per la libertà degli esseri umani ha desideri semplici e sconvolgenti: tenere testa ai boia. Di fronte alla brutalità del male, salvaguardare nonostante tutto la propria dignità e la fede nell’uomo. Ascoltate la sua voce.