I piccoli amori sono manifestazioni ancora poco chiare agli occhi del giovane Hugo, che a 11 anni dopo un lungo periodo di convalescenza si ritrova a gustare minuscoli sorsi di vita dall’istitutrice appena giunta in casa, la bella Erna. Individuando vagamente le funzioni di alcune figure che circondano l’oggetto della sua ammirazione, indovina poco a poco i rapporti che legano gli adulti, ma senza farsi mai un’idea troppo precisa degli accadimenti. Si invaghisce di lei, ma nel senso più ingenuo e candido del termine, poiché tutti i suoi sentimenti rimangono appena suggeriti, assopiti e mai esteriorizzati, mai veramente consapevoli.
Praga, scenografia di fondo alla vicenda, è una città fantasma popolata da ombre. Anche i genitori del ragazzino si aggirano per casa senza destare in lui il minimo interesse, solo ciò che concerne Erna e fa parte della sua quotidianità brilla vivo nei suoi occhi. Grazie a lei, ai suoi movimenti e ai suoi umori appena accennati, si ubriaca di vita, diventa consapevole di ciò che lo circonda, e soprattutto, scopre che un mondo intero giace al di là del quadro della sua stanza.
Durante la lunga malattia si era infatti abituato ad una lettura eccessiva; con quella passione affamata, propria della vita vuota, di cui soffrono tanto spesso i bambini ricchi, divorava libri di qualsiasi genere e contenuto: classici, libri vecchi, volumi di riviste, storie di guerra, di viaggi, di avventure. A forza di preghiere, di lacrime, di collere, e persino facendo salire la curva della febbre, Hugo riusciva ad estorcere quel nutrimento ai genitori e alle persone che lo curavano. Ma era un curioso modo di leggere, il suo. Non seguiva pagina per pagina il corso delle narrazioni, di cui molte volte non comprendeva che la minima parte; leggeva per dritto e per traverso; spesso non leggeva neppure, ma fissava estatico le pagine formicolanti; a volte teneva un libro a lungo fra le mani, stringendolo tra le dita avide, mentre socchiudeva le palpebre. Fra le due copertine di quella misera cosa che è un libro, stavano mondi inesauribili, che solo in piccolissima parte erano dell’autore, mondi che Hugo stesso si creava continuamente in forme sempre nuove e diverse.
Hugo conosce uno sterminato campione di mondi possibili, galassie inconcepibili e avventure fuori da ogni schema comune. Le ha costruite, mattone dopo mattone, con la sola forza della sua mente di bambino, galleggiante in un mare di fantasticherie. Il suo trampolino di lancio è un libro di un qualsiasi genere, a volte letto disordinatamente, altre volte addirittura capovolto o distorto. Questo è il suo modo di leggere: libero da qualsiasi condizionamento o scopo che non sia il puro piacere di perdersi, letteralmente, in una storia.
Ma la crescita, anche se tardiva, comporta degli “aggiustamenti” mentali che inizialmente lo sconvolgono. Accidentalmente sarà Erna ad accompagnarlo per le vie di Praga, rendendolo una volta per tutte consapevole del mondo esteriore, popolato da ricchi e poveri e da dinamiche sociali che ancora non riesce a comprendere.
Il tenente Zelnik e l’impiegato Tittel sono i soggetti interessati di questi piccoli amori di Erna. Non sono davvero le relazioni che intercorrono tra questi personaggi ad essere importanti, ma è il modesto sguardo del ragazzo al centro della narrazione che mai verrà abbandonato. Potrebbe essere considerato parziale, questo racconto, se si volesse conoscere a tutti i costi la psicologia dei personaggi secondari. Ciò che veramente conta, però, è l’evoluzione di Hugo, che attraversa un momento di transizione appoggiandosi alla prima miniera ben fornita di sensazioni.
Poco ci viene suggerito del seguito della vita del protagonista, egli ci viene consegnato, con rassegnazione, in balia delle convenzioni borghesi che per sempre domineranno la sua vita.