Ha il tono dimesso di una cronaca questo romanzo di Paolo Giordano, Il nero e l’argento (Einaudi), eppure il lettore resta subito coinvolto. Fatti quotidiani minuti, dinamiche di coppia ben note a chiunque si sia cimentato con la difficile impresa di condividere stabilmente con un’altra persona progetti e spazi. Con tutte le ambivalenze, le rinunce, i tentativi di reciproca manipolazione, le differenze che dovrebbero compensare i lati carenti di ciascuno e invece spesso stridono e basta. Ecco, proprio questa è l’illusione del protagonista del romanzo: che gli umori antitetici suoi e della moglie, Nora – nero e malinconico quello di lui, argenteo quello di lei, che è vitale, energica, forse un po’ superficiale – si mescolino, generando un equilibrio positivo, una quotidianità accettabile; ma scopre che non è così, che il nero e l’ergento sono insolubili l’uno nell’altro.
Sono giovani, i due protagonisti. Hanno un figlio ancora piccolo, Emanuele, che suo padre crede, vuole credere straordinario, e invece è un bambino come tanti, forse un po’ sotto la media. Sono alle prese con tutte le complicazioni contemporanee, il lavoro, la carriera. Paolo Giordano racconta il vissuto di una famiglia italiana borghese come tante, poco assistita da nonni sbadati e per nulla interessati all’accudimento. Ma i due protagonisti sono fortunati e i ritmi delle loro giornate per un lungo periodo vengono gestiti, pianificati, sorretti dalla signora A., la cui presenza benefica non si limita all’aiuto materiale, al prendersi cura in modo responsabile e attento del benessere dei suoi datori di lavoro, di cui si sente la custode; la signora A. diventa il collante che tiene insieme le tre persone per le quali cucina, pulisce, stira, riordina, fa la spesa. I rapporti si fanno nel tempo più stretti e confidenziali, la famiglia vera, quella sostanziale, quella i cui confini sono disegnati dai legami affettivi, comprende ormai a pieno titolo la signora A. La chiamano Babette, per le sue doti di cuoca e forse anche per quell’innata propensione ad accudire del personaggio di Karen Blixen. Ma l’armonia non è mai durevole, e la signora A. si ammala; tutto si capovolge e si sgretola. Quasi che la signora A. costituisse il perno solido intorno al quale il piccolo gruppo familiare si era andato strutturando.
Come accennavo all’inizio di questa spigolatura, la linearità della scrittura, il ritmo pacato della narrazione non impediscono al lettore di appassionarsi alle vicende malinconiche descritte da Paolo Giordano. Naturalmente, se si preferiscono le storie caratterizzate da trame complesse e colpi di scena, che sembrano scritte per il cinema (e non c’è niente di male ai miei occhi, sia chiaro, in questo approccio alla letteratura; leggo volentieri anche storie di quel tipo), Il nero e l’argento potrebbe risultare deludente. Se invece l’epica del quotidiano non vi dispiace, questo romanzo breve e denso vi commuoverà proprio per l’assenza di effetti speciali e di colpi sotto cintura: è la mancanza di questi condimenti a far riconoscere una storia vera. Ovviamente vera in senso letterario, vera in quel luogo in cui niente è davvero accaduto e al tempo stesso tutto è accaduto mille volte e mille volte ancora accadrà.
Rosalia Messina