Farid e Jamila abbandonano la loro oasi in mezzo al Sahara, la guerra li ha raggiunti fino a lì. Affrontano il deserto alla ricerca di un approdo sicuro: l’Italia.
Vito vive con la madre Angelina in Sicilia e non sa che fare del proprio futuro ora che ha terminato gli studi. È disorientato in una terra che non sente sua.
Vito guarda il mare. Sua madre un giorno gli ha detto devi trovare un luogo dentro di te, intorno a te. Un luogo che ti corrisponda. Che ti somigli, almeno in parte. Sua madre somiglia al mare, lo stesso sguardo liquido, la stessa calma e dentro la tempesta.
Nonno Antonio e nonna Santa hanno costruito in Libia il proprio avvenire come tanti altri italiani, tramutati per sempre da quel mare e da quelle terre ricche di speranza nel futuro. Angelina vive per undici anni come taliana in terra araba. Tripoli è la sua città, una macchia d’Italia in un mare di deserto. Costretti a lasciare la Libia dopo le violenze di Gheddafi, Angelina e famiglia si trasferiscono in un’Italia che non li accetta, che li accoglie come scarti di una strategia coloniale relegata nel passato fascista del Paese. Sono sradicati che non sanno ricominciare: le stragi degli anni Settanta scavalcano il racconto del loro esodo, lentamente dimenticato da tutti. Angelina non sa integrarsi e le bambine, vere italiane, guardano con sospetto la sua aria selvaggia. Nonostante gli sforzi della madre di farla somigliare a loro, non sopporta l’odore di vestiti usati che l’avvolgono e l’idea di tenersi addosso la vita di qualcun altro. E non pensa ad altro se non a rivivere la sua infanzia scaldata dal sole, mentre gioca in riva al mare limpido con Alì e assiste i genitori che lavorano nella cereria.
Finché un giorno l’esilio non è più obbligato, Santa con la figlia e il nipote ritorna a Tripoli, traballante sulle gambe non più salde come un tempo.
Margaret Mazzantini ci ha raccontato tutta questa vicenda famigliare non per puntigliosità, ma per preparare questo ritorno, quello d’un esiliato che ha trascorso la vita a sognare le proprie origini. Le spiagge e le piazze d’un tempo sono state soffocate da parcheggi e palazzi, ma madre e figlia passeggiano per la città con lo sguardo annebbiato dai filtri del passato: è la loro Tripoli che quel giorno rivedono, spogliata della modernità che l’ha rimodellata. Vito capisce che quello è il punto da cui parte tutto, la loro felicità sommersa, la nostalgia di casa e l’inadeguatezza costante provata in Sicilia, quella Sicilia che per Jamila e Farid, abbandonati come esche usate nel mare calmo, è l’unica speranza all’orizzonte.
Le due storie sono le stesse, separate solo da chilometri di mare scuro. Come in altri sui scritti (Venuto al mondo), Margaret Mazzantini ripropone i temi della maternità uniti a quelli più duri e difficili da digerire della guerra, la violenza, l’esodo.
Pensava soltanto a quello. Riportare la sua vita a quel punto. Nel punto dove si era interrotta. Si trattava di unire due lembi di terra, due lembi di tempo. In mezzo c’era il mare. Si metteva i fichi aperti sugli occhi per ricordarsi quel sapore di dolce e di grumi. Vedeva rosso attraverso quei semi. Cercava il cuore del suo mondo lasciato.