“Perché mai è così tragica la vita; così simile a una striscia di marciapiede che costeggia un abisso. Guardo giù; ho le vertigini; mi chiedo come farò ad arrivare alla fine.”
Quando la National Portrait Gallery di Londra – tra i venti musei più visitati al mondo, che ospita, tra gli altri, il celebre ritratto Chandos, uno dei più belli e verosimili fra quelli raffiguranti William Shakespeare – decide di dedicare una mostra ad una delle scrittrici più famose, più tormentate e, forse per questo, più amate di sempre, non può che può farlo in grande stile, partendo da un titolo che sia quanto mai significativo ed esprima tutto quello che questa esibizione, a metà tra evento d’arte e di letteratura, intende essere.
“Virginia Woolf. Art, Life and Vision” (fino al 26 ottobre 2014) è il titolo della mostra che promette di stupire i visitatori facendoli immergere, anima e corpo, nello sconvolgente mondo della scrittrice inglese, tra le più importanti e celebrate del Ventesimo secolo.
Le parole dei suoi romanzi, del suo diario e di quella pietra miliare della scrittura “al femminile” che fu “Una stanza tutta per sé”, sembreranno galleggiare nell’aria, sospese a mezz’aria, attraverso gli spazi della galleria che ospiterenno oltre 140 oggetti legati alla vita della Woolf (lettere, manoscritti, oggetti personali, rari materiali d’archivio).
“Questo insaziabile desiderio di scrivere qualcosa prima di morire, questo senso divorante della febbrile fugacità della vita, che mi fa avvinghiare, come un uomo a una roccia, alla mia sola ancora.”
Un’ancora, quella della scrittura, dal grande potere attrattore tanto per la scrittrice – che si suicidò dopo l’ennesima crisi depressiva nel 1941 – che per tanti lettori, scrittori o aspiranti tali (soprattutto se di genere femminile) che si sono aggrappati, e ancora oggi si aggrappano ad essa sempre alla ricerca di conforto, consolazione, di un senso da dare a questa vita.
Virginia Woolf prova ad esprimerlo in questo passaggio del suo diario: “Ho la grande e stupefacente sensazione di qualche cosa, lassù, che è “quello”. Non mi riferisco alla bellezza, non esattamente. È che la cosa basta in se stessa: soddisfacente; compiuta. È la sensazione della mia straordinarietà, di me che cammino sulla terra: dell’infinita stranezza della condizione umana.”
Per la prima volta, in mostra, diversi dipinti e fotografie raffiguranti i familiari della Woolf che conservano il ricordo del tempo intimo trascorso con gli affetti più cari: dai primi anni di vita (le estati con i genitori e i fratelli a Saint Ives, in Cornovaglia, e dal padre, Leslie Stephen, noto letterato dell’epoca, che le consentiva di leggere tutti i libri della sua biblioteca, e con le figure di rilievo per la sua formazione culturale come Henry James e Thomas Elliot) ai grandi successi letterari.
Aspetti meno noti del suo tempo a Londra e delle sue opinioni politiche e personali (dalla battaglia per una maggiore dignità per le donne nella vita pubblica, al rifiuto della guerra) sono portati alla luce attraverso una ricerca approfondita da parte della curatrice della mostra.
Ancora, numerose fotografie – scattate alla Woolf da membri del Bloomsbury Group, come Vanessa Bell e Roger Fry e da Beresford e Man Ray – e molti autografi, comprese due lettere scritte poco prima di togliersi la vita, consentono di addentrarsi più in profondità nella sua fragile esistenza.
Infine un prezioso carteggio, sul tema della pace, con il cugino Bell, che perse la vita durante il conflitto spagnolo al quale aveva aderito come ausiliario.
Ma sono presenti anche rarità, come il bastone con cui la romanziera amava passeggiare, che venne ritrovato per caso su una spiaggia dal marito Leonard, dopo una sparizione misteriosa della moglie.
Il calendario degli eventi che accompagnano la mostra è molto ricco.
Ben 18 appuntamenti (da luglio a ottobre): dagli approfondimenti sul Bloomsbury Group, all’analisi sull’influenza della pittura nella scrittura della Woolf (da giovane lavorò come modella per grandi artisti, tra cui Edward Burne-Jones) e dell’importanza del suo rapporto con Roger Fry; da un attento esame della relazione creativa con la sorella Vanessa, al particolare legame della scrittrice con gli abiti e la moda (e il ruolo degli stessi nella caratterizzazione dei suoi personaggi).
Merita di essere citata la lettura, con adattamento teatrale, di “Una stanza tutta per sé” , forse la sua eredità più grande, perché è da essa che si eleva il suo meraviglioso auspicio per le donne. Quello che ce la fa amare così tanto. Pur nella sua fragilità. O, forse, proprio per questo.
“Fra cento anni, d’altronde, pensavo giunta sulla soglia di casa, le donne non saranno più il sesso protetto. Logicamente condivideranno tutte le attività e tutti gli sforzi che una volta erano stati loro negati. La balia scaricherà il carbone. La fruttivendola guiderà la macchina. Ogni presupposto basato sui fatti osservati quando le donne erano il sesso protetto sarà scomparso; ad esempio (in strada stava passando un plotone di soldati) l’idea che le donne, i preti e i giardinieri vivano più a lungo. Togliete questa protezione, esponete le donne agli stessi sforzi e alle stesse attività, lasciatele diventare soldati, marinari, camionisti e scaricatori di porto, e vi accorgerete che le donne muoiono assai più giovani e assai più presto degli uomini; cosicché si dirà: “Oggi ho visto una donna”, come si diceva “Oggi ho visto un aereo”. Può accadere qualunque cosa quando la femminilità cesserà di essere un’occupazione protetta, pensavo, aprendo la porta.”