Parlare del Prometeo incatenato significa partire già con un punto interrogativo. Questa tragedia greca ha generato un lungo dibattito tra i critici: autore, data e posto occupato all’interno della trilogia – di cui facevano parte anche il Prometeo liberato e Prometeo portatore del fuoco – sono state questioni avvolte più da dubbi che da certezze.
Se per la composizione dell’opera rimane per i più condivisa la data del 460 a.C., la paternità della tragedia ha scatenato una vera e propria querelle. Nel 1929 Schmid sollevò dubbi sull’attribuzione ad Eschilo del Prometeo incatenato, considerandola opera di un anonimo drammaturgo; dubbi che derivavano non solo e non tanto da questioni linguistiche e metriche, quanto soprattutto dall’oggettiva difficoltà di conciliare lo Zeus del Prometeo con quello degli altri drammi eschilei: se solitamente il padre degli dèi è in Eschilo giusto, moderato e razionale, qui è prevaricatore e tiranno. Tuttavia, fino a incontestabile prova contraria, il Prometeo va considerato di paternità eschilea, come sostiene la maggior parte degli studiosi e soprattutto il codice Laureziano XXII.
La tragedia – l’unica del mondo ellenico in cui tutti i personaggi sono divinità – porta sulla scena Prometeo, protagonista ed eroe del mito. Il Titano viene inchiodato ad una roccia da Kratos e Bia (Potere e Forza), servi di Zeus, con l’aiuto di Efesto: la tracotanza punita è il furto del fuoco, messo in atto da Prometeo per donarlo agli uomini e contribuire così al loro progresso. Si susseguono quindi sulla scena prima le Oceanine, sinceramente addolorate dal dolore del Titano (più che mai consapevole del peccato e della pena), e poi il loro padre Oceano. Andato via quest’ultimo, si presenta la ninfa Io, vittima dell’egoismo e della furia di Zeus, a cui Prometeo (che ha il potere di leggere il futuro) predice una lunga serie di sventure che l’attende; per consolarla, però, accenna a nozze fatali che detronizzeranno il padre degli dèi e saranno causa della sua caduta. Zeus, udito il tutto, invia in missione il suo “maggiordomo” Hermes, a cui però il Titano incatenato non rivela nulla. La vendetta di Zeus è immediata: un terremoto fa crollare la montagna, e con essa Prometeo sprofonda nell’abisso.
Dell’opera colpiscono l’assoluta centralità e la forza del protagonista. Prometeo appare animato da una straordinaria volontà nel ribellarsi alla volontà del despota Zeus, rifiutando qualsiasi tipo di compromesso. Si palesa altresì come personaggio dotato di una grande consapevolezza (caratteristica tipicamente “tragica”): Prometeo è estremamente consapevole tanto del peccato commesso quanto della pena inflittagli dagli dèi, ed è questa la sua forza e la sua condanna.
Ed è stato il Romanticismo, celebrandolo anche con l’iconografia, a fare di Prometeo un vero e proprio eroe del genere umano.