Ci sono libri che lasciano il segno ma lo fanno in punta di piedi, quasi inconsapevolmente all’inizio finché non si sente l’esigenza di riprenderli, sfogliarli, rileggerli come per proseguire quell’intenso rapporto creatosi durante la prima lettura.
Nadja è indubbiamente uno di questi libri. Scritto nel 1962 da Andrè Breton, questo romanzo-visione segna una pietra miliare nella storia del surrealismo, lo stesso Breton interviene nella premessa dell’opera avvisando il lettore che “bisognerà distinguere tuttavia tra quanto si riferisce alla tastiera affettiva e ad essa interamente si affida e quanto è resoconto giorno per giorno, il più possibile impersonale, di minuti eventi che si sono venuti articolando gli uni agli altri in un certo modo”.
In questo romanzo l’autore ricostruisce gli eventi intercorsi tra l’Ottobre e il Dicembre del 1926 a Parigi fra eleganti boulevard , bistrot, monumenti e l’incontro con alcuni personaggi del suo entourage intellettuale come Blanche Derval, Robert Desnos, Benjiamin Péret e l’inseparabile Paul Eluard cofirmatario del Manifesto del surrealismo.
L’incontro con Nadja apre un flusso di coscienza, raccoglie assieme allo stupore ed ammirazione nei confronti di questa misteriosa donna, quasi eterea, la riflessione sulla psiche umana:
“Tutto a un tratto, mentre è ancora forse a dieci passi da me, venendo in senso inverso, vedo una donna giovane, vestita molto poveramente, che a sua volta mi vede o mi ha visto…Un sorriso impercettibile erra forse sul suo volto. Curiosamente truccata come qualcuno che, avendo cominciato dagli occhi, non ha avuto il tempo di finire.. La guardo meglio. Che cosa è mai che traspare di così straordinario in quegli occhi? Che cosa vi si rispecchia oscuratamente di sventura e luminosamente d’orgoglio?…Mi dice il suo nome, quello che si è scelto lei: “Nadja, perché in russo è l’inizio della parola speranza e perché è soltanto l’inizio”. Solo allora ha pensato a domandarmi chi sono (nel senso più stretto della frase) “Chi è lei?” E Nadja senza esitare . “Sono l’anima errante”
Con l’espressione “chi sono” Breton allude alla ricerca di un senso del proprio essere in quel luogo, in quel momento ed in qualche modo risponde a questo interrogativo già all’inizio, in quel “qui je hante”, chi infesto, che è la risposta alla domanda chi sono?.
Gli incontri con Nadja proseguono nei giorni successivi ma avvengono quasi casualmente; è il caso a mettere la donna sulla strada dello scrittore. Nadja è una congiuntura fra l’io che si adegua alla realtà che lo circonda ed il suo doppio, che freme per uscire dalla gabbia delle convenzioni per potersi esprimere con passione a ciò che più desidera.
Le sue peripezie, il suo continuo peregrinare tra amanti, mecenate e detrattori ed infine l’internamento in una clinica psichiatrica sono paradossalmente quasi marginali rispetto alla restante struttura del libro che come si è detto è anche profonda riflessione su temi sociali e politici e sul modo in cui la cultura del tempo abbia influenzato le scelte di intere generazioni.
La recente filmografia (La grande Bellezza di Paolo Sorrentino), ha modellato sulle caratteristiche di Nadja uno dei suoi personaggi , segno che questo libro è oggi più che mai attuale.
L’esistenza di Nadja invita a riflettere sulla bellezza e sull’atteggiamento che l’uomo ha nei suoi confronti. La bellezza di Nadja è “come un treno che incessantemente scalpita nella Gare de Lyon, e di cui so che non partirà mai, che non è partito. E’ fatta di scatti, alcuni dei quali non hanno importanza ma che sappiamo destinati a produrre uno Scatto ben più importante. Che ha tutta quell’importanza che non vorrei darmi…La bellezza sarà CONVULSA o non sarà”.
Questa bellezza appartiene un po’ a ciascuno di noi.