Avevo aspettative molto alte quando ho comprato l’ultimo romanzo di Murakami Haruki, L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio, aspettative che non solo sono state rispettate, ma addirittura superate. Credo che sia uno dei suoi romanzi più belli, per stile e per ispirazione.
Un’opera che potremmo definire un romanzo di formazione, in cui il protagonista compie un percorso faticoso ed evanescente tanto nel mondo esterno quanto nella sua memoria. È complicato cercare di descrivere la trama di questo libro senza raccontare dettagli che è interessante e fondamentale scoprire mentre si procede nella lettura, quindi lascio al potenziale lettore il piacere di inoltrarsi in una storia nello stesso tempo singolare e universale, quale può essere quella di un uomo alla ricerca di se stesso e di un motivo per continuare a vivere la propria vita.
Ciò che trovo sempre straordinario nei romanzi di Murakami, è il suo destreggiarsi tra piani temporali e spaziali molto lontani e diversi, riuscendo a incastrarli uno dentro l’altro senza che alcuna crepa traspaia mentre si legge la storia. Anche nel suo ultimo lavoro, l’autore riesce a livellare diverse dimensioni assegnando loro una coerenza cristallina. Ma si supera, quando riesce a portare passato, presente e futuro, insieme a diverse localizzazioni spaziali, esattamente sullo stesso piano, confondendoli l’uno dentro l’altro, creando un’identità che è la chiave di lettura della storia e che si dimostra essere un espediente stilistico – narrativo riuscito alla perfezione. Non mi stanco mai di dire a parenti e amici, leggete Murakami, è un genio. Dopo aver letto questo romanzo, sarò ancora più insistente.
È un romanzo denso ma allo stesso tempo leggero, grazie anche alle freddure e ad una certa ironia che viene fuori soprattutto nei momenti più solenni, nelle riflessioni dei personaggi su argomenti di portata universale, come per esempio la morte:
– Lei non ha paura? Di morire intendo.
– Della morte in sé no. Dico sul serio. Ho visto morire tanti di quegli incapaci, tanti di quegli imbecilli! Se ci sono riusciti loro, non c’è motivo perché non ci riesca anch’io.
E ora ditemi se non è un genio.