Lo spazio che l’autore crea per inserire le sue vicende non è un semplice scenario, né un ambiente casuale, ma il frutto di scelte ben precise, funzionali all’economia generale del racconto. Il luogo reale o immaginario, in cui si svolge l’azione, si carica di vari elementi ed assume così un suo particolare significato che varia da un racconto all’altro. Bourneuf e Quellet dicevano che “ lo spazio, in un romanzo non è… un elemento accessorio, ma si esprime in forme determinate, riveste molteplici significati, arriva persino a costituire, a volte, la ragione stessa dell’opera ”.
Talvolta i luoghi descritti coincidono con i luoghi reali, come accade per esempio nel villaggio di Aci-Trezza dei Malavoglia del Verga, in cui la realtà è resa nella maniera più verosimile ed oggettiva possibile. Ecco, per l’appunto, un passo tratto dai Malavoglia:
“ Sull’imbrunire comare Maruzza coi suoi figliuoletti era andata ad aspettare sulla sciara, d’onde si scopriva un bel pezzo di mare, e udendolo urlare a quel modo trasaliva e si grattava il capo senza dir nulla. La piccina piangeva, e quei poveretti, dimenticati sulla sciara, a quell’ora, parevano le anime del Purgatorio. Il piangere della bambina le faceva male allo stomaco, alla povera donna, le sembrava quasi un malaugurio; non sapeva che inventare per tranquillarla, e le cantava le canzonette colla voce tremola che pareva di lagrime anch’essa. Le comari, mentre tornavano dall’osteria coll’orciolino dell’olio, o col fiaschetto del vino, si fermavano a barattare qualche parola con la Longa senza aver l’aria di nulla, e qualche amico di suo marito Bastianazzo, compar Cipolla, per esempio, o compare Mangiacarrube, passando dalla sciara per dare un’occhiata verso il mare, e vedere di che umore si addormentasse il vecchio brontolone, andavano a domandare a comare la Longa di suo marito, e stavano un tantino a farle compagnia, fumandole in silenzio la pipa sotto il naso, o parlando sottovoce fra di loro. La poveretta, sgomenta da quelle attenzioni insolite, li guardava in faccia sbigottita e si stringeva al petto la bimba, come se volessero rubargliela. Finalmente il più duro o il più compassionevole la prese per un braccio e la condusse a casa. Ella si lasciava condurre, e badava a ripetere: – Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria! – I figliuoli la seguivano aggrappandosi alla gonnella, quasi avessero paura che rubassero qualcosa anche a loro”.
In questa descrizione lo spazio non funge da semplice cornice, ma interagisce strettamente con i personaggi che vi operano. Qui ogni sguardo umano è rivolto verso il mare tempestoso, che costringe quei poveretti a rimanere sulla sciara, la lava pietrificata che copre le pendici e la campagna nei dintorni di Aci- Trezza.
A volte luoghi assolutamente normali diventano sede di avvenimenti mostruosi o assurdi. Ecco come viene descritta, nella Metamorfosi di Kafka, la camera in cui Gregorio Samsa si trova trasformato in un enorme scarafaggio:
“Nel destarsi, un mattino, da sogni inquieti, Gregorio Samsa si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto. Giaceva sul dorso duro come una corazza e, appena alzato il capo, scorse un addome carenato, scuro, traversato da numerose nervature. La coperta, in equilibrio sul crinale, minacciava di cadere da un momento all’altro; mentre le numerose zampe, pietosamente sottili rispetto alla sua mole, gli ondeggiavano confusamente davanti agli occhi. – Che m’è successo?- pensò. Non era un sogno. La sua camera, una vera camera per esseri umani, anche se un po’ piccola, stava ben ferma tra le sue quattro note pareti. Sopra il tavolo, su cui era sparso un campionario di tessuti- Samsa era commesso viaggiatore- era appesa un’immagine ritagliata, non molto tempo avanti, da una rivista illustrata e collocata in una graziosa cornice dorata. Raffigurava una signora che, in boa e berretto di pelle, sedeva eretta, alzando verso l’osservatore un pesante manicotto di pelliccia che le celava tutto l’avambraccio. Lo sguardo di Gregorio passò allora alla finestra e il cielo coperto- si sentivano gocce di pioggia picchiettare sulla lamiera del davanzale- finì d’immalinconirlo”.
E’, la sua, l’angoscia dell’uomo contemporaneo che non riesce a cogliere il senso della vita e che si lascia dominare dalla sua fragilità, la quale inevitabilmente lo porterà alla sconfitta. Kafka, infatti, è uno degli autori in cui più precisamente si riflette e si esprime la tormentata spiritualità moderna. In questo racconto egli allude drammaticamente alla solitudine dell’uomo, che, nonostante i suoi sforzi, vive in uno stato di incomunicabilità con gli altri.