Quando si parla di piccola e media editoria si compie generalmente un errore di valutazione, seppure in assoluta buona fede: ci si sente buoni. Dare sostegno a piccole realtà che, di tasca propria, finanziano, pubblicano e sostengono i propri scrittori non significa affatto fare un atto di beneficenza bensì, spesso, regalarsi letture piacevoli, godibili, belle, soprattutto se ci si affeziona a case editrici che dimostrano col proprio lavoro di tenere al loro catalogo e agli autori che in esso sono compresi. Non dovrebbe esistere se non la distinzione tra editoria di qualità e non, e in tal caso non c’è grande casa editrice che tenga.
“Sento la neve cadere” di Domenico Infante, edito da Scrittura & Scritture, racconta la storia di una famiglia siciliana e di alcuni personaggi che le ruotano attorno e, in particolare, la storia di Esilio che avrebbe dovuto in realtà chiamarsi Ersilio. Un errore all’anagrafe che rappresenterà una sorta di filo che riannoderà la storia al passato. Una famiglia di contadini dell’entroterra, la terra come madre e padrona, tenera e autoritaria, tanto che Esilio diventa adulto prima di riuscire a vedere il mare. E la guerra, la seconda guerra mondiale che, silente, allunga tentacoli sulle vite semplici di uomini che la ignorano tra un bicchiere di vino e il sudore della fronte. Come serpe strisciante però quella non permetterà tanta sufficienza. E se in alcune pagine il rimando a Verga pare impossibile da non fare, in altre pare invece quanto mai inappropriato. Sono infatti i cicli della natura a governare le vite di queste persone semplici, che parrebbero non essere mai reali se non quando sono sporchi della terra, tanto da smarginarsi quasi durante un viaggio verso la città, ma è potente il loro modo di amare senza parole, con la fedeltà, la costanza, il perdono muto e la sensazione che la casa sia solo dove ce la si è costruita con la fatica.
Il romanzo breve di Infante si avvale di un dialetto che nulla perde della musicalità siciliana seppure sia sempre leggibile e mai ostico. L’autore, napoletano, compie uno sforzo notevole premiato nel risultato. La delicatezza e l’eleganza di una penna che a tratti verga (non ho resitito al gioco di parole) poesia cozza con lo sfondo di Petralia Sottana, con la storia della famiglia Salvati come se tutta la narrazione fosse un enorme ossimoro, come se il racconto corale di queste anime e delle loro storie fosse esso stesso salvifico. E la stessa metafora della neve assume un contorno così immaginifico e dolce che anche a noi sembra di sentirla cadere, coprire tutto, resituire candore là dove vi era sempre stato e dove una sola parola, una parola tradotta da una lingua antica, aveva squarciato delle esistenze fatte di lealtà, onestà, lavoro e amore.
Domandarsi perché quando cade la tristezza in fondo al cuore, come la neve non fa rumore