Un giorno, l’uomo di cultura, guardando sotto la porta, trovò una lettera. “Caro uomo di cultura”- diceva- “sono io che ti parlo: l’ultimo degli ultimi. Sulla scala della miseria umana, puoi trovarmi lì, sto sul gradino più basso. Hai voglia ad alzare lo sguardo, anche se mi rompessi il collo, non ti vedrei. Ecco, già lo sento, ti stai insospettendo. Questo linguaggio figurato, dirai, non è farina del mio sacco (tanto per restare in tema). Hai ragione e infatti ho usato queste parole: sono io che ti parlo.
Chi scrive, chi presta la penna e la forma a quello che dico, è l’uomo medio. Siamo amici, molto amici. Sarà pure un mediocre, ma mi ascolta con pazienza e mi capisce. Quando sta con me dice che soffre, terribilmente. Dice che lui, che è l’uomo medio, ogni tanto una luce chiara la vede e se io non l’ho vista ancora è solo colpa tua. Mi ha spiegato il perché. Io, non ci crederai, penso di aver capito. E gli ho dato ragione. Lui ha ordinato i miei pensieri, lui ha creato il filo logico, lui ha reso dignitoso ciò che sto per dire. L’uomo medio è stato il tramite per arrivare a te, il canale di comunicazione fra l’abisso e la beatitudine.
E’ stata tua la colpa. Perché avevi capito. Avevi capito che la decadenza era lì, dietro l’angolo. Ma non l’hai detto. Te ne sei guardato bene. O l’hai detto, ma la voce era così flebile che nessuno ci ha fatto caso. E già, come potevi. Quella bassezza, quella bassezza che si alzava sempre di più ti piaceva, ti piaceva perché in essa la tua eccellenza si sarebbe distinta ancora di più.
E’ stata tua la colpa. Perché conoscevi le parole. Conoscevi il significato. Ma non l’hai difeso. Non ti sei indignato quando le usavano per servirsene. Proprio quelle più nobili, quelle di cui abbiamo più bisogno. Ne hanno abusato, ne hanno abusato talmente tanto da svuotarne il senso.
E’ stata tua la colpa. Perché avevi il tempo. Avevi il tempo di spiegarmi Proust, di spiegarmi Dante. Non li avrei capiti, ma quella tua passione, quei tuoi occhi, vivi, lucidi, li avrei voluti anch’io, e mi sarei sforzato per averli. Invece hai scelto lui, il disimpegno, con molto, tanto impegno.
E’ stata tua la colpa. Perché non me l’hai detto. Che la paura è figlia dell’ignoranza. Che la paura è figlia dell’incoscienza. Ma la mia, la mia coscienza, quella è già formata. Ora è tardi per cambiarla. Poteva entrarci l’estasi, l’ha fatto l’angoscia.
E’ stata tua la colpa. Perché non mi hai insegnato la bellezza. L’enorme, la spropositata bellezza. Quella della vita, quella della natura, quella dell’uomo, quella dell’arte.
Come potresti risarcirmi? Ah, non basterebbero tutti i denari del mondo. Mi basta quest’attimo, adesso che hai finito di leggere. Quest’istante. Quello che proverai. Perché sono già sicuro. Sono sicuro che subito dopo te ne sarai già scordato.”
L’ultimo degli ultimi