A leggere la vita dello scrittore, saggista, poeta e pittore toscano sembrerebbe, a prima vista, d’imbattersi in un incoerente, un incostante, un capriccioso, che spesso cambia idea, forse si contraddice anche e, di tanto in tanto, torna sui suoi passi.
Parte dalla pittura (Accademia di Belle arti, Scuola del Nudo) per poi approdare alla scrittura, da autodidatta, e procedere su più direzioni artistiche contemporaneamente, con grande disinvoltura, la stessa con cui si muove tra Parigi a Firenze, costruendo preziosi rapporti amicali e professionali.
Probabilmente il fatto di essere stato al contempo un artista e un critico, l’essersi posto dall’una e dall’altra parte della “barricata”, ha reso difficile la sua posizione e complesso il giudizio che, oggi, è possibile dare sulla sua opera e sul suo “operato”.
Eppure il nome di Ardengo Soffici torna sempre, associato a quello di quegli artisti (Apollinaire, Rimbaud, Cezanne, Picasso, Braque, Derain, Matisse, Gris, De Chirico, Savinio, Rosso, Carrà) e di quelle riviste (Leonardo, La Voce, Lacerba, Valori Plastici, Nuovo Paese, Il Selvaggio, L’Italiano) che scossero la cultura italo-francese nei primi del Novecento.
Collaborando prima con Papini e Prezzolini, poi con Maccari e Longanesi, Soffici contribuì a dare impulso alle arti e al successo o all’insuccesso di questo o quel movimento artistico-letterario e, in entrambi i casi, sempre con la malcelata volontà di scandalizzare l’opinione pubblica, trovando lettori perfino nei bordelli, come è stato ironicamente osservato da qualcuno, a sottolineare l’elemento di novità e di rottura che rappresentarono quelle riviste.
A Soffici spesso non viene riconosciuto il ruolo che merita, considerato che, nel suo vasto e variegato contributo alla cultura, si fece portatore di grandi novità e continuo sperimentatore, con quella disponibilità a cambiare opinione e aprirsi al nuovo che è tipica degli appassionati e degli entusiasti e, se vogliamo, di una giovinezza che, per taluni, è destinata a durare per tutta la vita.
Fu artefice, ad esempio, del successo dello scultore Medardo Rosso con il saggio Il caso Rosso e l’impressionismo (1909) e portò la pittura impressionista francese in Italia, per la prima volta, a Firenze nel 1910. Nel 1911 scrisse il famoso saggio su Arthur Rimbaud (il primo dedicato al poeta in un paese straniero), tradusse e fece pubblicare per la prima volta in Italia i racconti di Cechov.
Entrò in contatto col simbolismo, fece conoscere il cubismo attraverso Cubismo e oltre (1913), aderì al futurismo. Orientato poi al realismo, fondò la rivista Rete Mediterranea (1920) e, in tutto questo, “trovò anche il tempo” per partire volontario nella Prima Guerra Mondiale, venire decorato al valore militare, scrivere Kobilik, giornale di battaglia (1918) e La ritirata del Friuli (1919), tenere una personale e partecipare alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma e molto altro ancora.
Sempre al centro della vita culturale, parte in causa nelle discussioni e nelle polemiche tra i più variegati orientamenti, allargò costantemente il suo orizzonte culturale e fu mosso da un grande attivismo che si espresse anche nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, durante il quale prese posizione e ne pagò le conseguenze (aderì al fascismo nel 1925, poi ne prese le distanze, pur rimanendo fedele a Mussolini, e nel 1944 venne internato, anche se per poco, per collaborazionismo).
A testimonianza del suo fervore un noto episodio. Nel 1911 visita una mostra di opere futuriste a Milano che, ai suoi occhi, si rivela una “delusione sdegnosa”. Esprimendo questo giudizio in un articolo di critica su La Voce, suscita la violenta reazione dei futuristi. Così, a Firenze, mentre siede ad un caffè con gli amici Prezzolini e Rosso, viene raggiunto da Marinetti, Russolo, Carrà e Boccioni. Riceve uno schiaffo da quest’ultimo. È l’inizio di una rissa che viene sedata dalla polizia. La notte seguente, alla stazione di Santa Maria Novella, Soffici, Prezzolini e altri due amici decidono di rendere pan per focaccia ai futuristi in partenza per Milano. Lo scontro causa grande clamore sulla stampa ma si rivela un’ottima pubblicità per entrambi gli schieramenti. In seguito, grazie alla mediazione di Palazzeschi, si riconcilierà con i futuristi tanto da diventare, con Papini, fondatore di Lacerba (1913), organo ufficiale del futurismo. Un nuovo distacco si registrerà nel 1914, con l’articolo di Papini “Il cerchio si chiude”, in aperto contrasto con il “marinettismo”.
Una vita, quella di Soffici, vissuta sempre al massimo delle sue possibilità, all’insegna di quello “spirito indipendente, ardente, appassionato di pura bellezza e di verità ardite spietate, di enunciazioni magari scandalose, di energia giovanile che spinge al combattimento ideale, un bisogno di aria nuova, un’allegra volontà di spoltrire il mondo circostante, di spalancar le frontiere dell’intelligenza e dell’arte per un principio di nuova umana universalità” (per citare un passaggio del programma de Lacerba).
A cinquant’anni dalla sua morte, con la mostra “Ardengo Soffici. Giornate di Paesaggio”, presso le Scuderie Medicee di Poggio a Caiano (fino al 27 luglio 2014), il Museo Soffici e del ’900 italiano lo celebra riunendo ed esponendo, per la prima volta, cinquanta paesaggi toscani del pittore, quindici paesaggi di artisti italiani con cui Soffici fu in contatto e condivise la poetica (Fattori, De Pisis, Carrà, Morandi, Rosai, De Chirico, Sironi), insieme alle prime edizioni di tutte le sue opere e una selezione delle riviste italiane e francesi che egli stesso diresse o con le quali collaborò.
Un modo per ricordare un uomo di cultura a tutto tondo che, quando scrisse in uno dei suoi saggi più importanti, Bif& ZF + 18 = Simultaneità – Chimismi lirici (1915) “tutto si paga con 24 ore di giovinezza al giorno”, sembrava quasi riferirsi a sé stesso e a quella vita a cui seppe dare valore in ogni singolo momento, per se stesso e, soprattutto, per l’arte.