Quello viene lì almeno quattro volte alla settimana. Si siede, ordina il suo solito maledetto caffè del cavolo e rimane qua a fissare le persone per almeno un’ora e mezza. Non l’ho mai visto parlare con nessuno, mai. Guarda gli avventori, scribacchia qualcosa nel suo immancabile bloc notes e non apre mai bocca, se non per ordinare e chiedere il conto.
Che tipo strano, quello. Avrà sui quarant’anni, una famiglia o una moglie da cui tornare non ce l’ha? Forse abita da solo, in un monolocale con bloc notes sparpagliati per tutti i pavimenti.
Ha la barba corta e bionda, le labbra sottili. I suoi capelli radi sono lunghi fino alle spalle e ci scommetto la mancia di tutto il mese che fino a quindici anni fa dietro di lui c’era la fila di ragazze pronte ad allacciargli le scarpe pur di ricevere un suo sorriso.
Forse anche io sarei stata tra quelle ragazze in fila. O forse no.
Mi mette davvero a disagio, devo ammetterlo. Quando mi abbasso per pulire i bicchieri, sento il suo sguardo posarsi su di me e dietro la nuca avverto un formicolio decisamente sgradevole. Se mi dicesse qualcosa almeno avrei un buon motivo per mandarlo a quel paese.
Eccola, imbronciata come al solito, si affanna dietro a quel banco sporco a lavare bicchieri e preparare cappuccini. La sua coda di cavallo danza dietro ai suoi movimenti rapidi, i suoi occhi saettano per tutta la stanza e non si posano su nulla, ma vedono tutto. I suoi occhi sono davvero grandi e scuri, come quelli delle bambole che regalano alle bambine quando hanno otto anni. Le sue labbra sono sempre strette in un’espressione concentrata e quando sorridono sembrano non voler coinvolgere gli occhi, rendendo tutto molto finto. Ragazza mia, lo so che non ti piaccio, si vede dal modo in cui le tue sopracciglia si inarcano quando mi vedi entrare qui dentro. Non sorridermi in quel modo, però, non farlo, per favore. È peggio di qualsiasi sguardo di disprezzo che tu possa lanciarmi.
Mi sta guardando ancora, lo so. Vorrei alzare gli occhi e fulminarlo, ma non voglio che i nostri sguardi si incrocino. Sarebbe una lotta dove a perdere sarei io, e io non perdo mai.
Mai.
È una ragazza tanto triste, ogni suo gesto contiene in sé una richiesta d’aiuto che nessuno riesce a cogliere. Giovane cameriera, non sei stanca di startene dietro quel banco sporco a pulire bicchieri? Non hai un’amica o un ragazzo che ascolti cos’hai da dire e ti liberi dal fardello che ti fa corrucciare la fronte in quel modo? No, credo di no. La gente di solito ascolta poco ciò che gli altri hanno da dire.
Forse un giorno ti chiederò di raccontarmi cos’è che ti assilla tanto.
Forse oggi.
Ecco, gli porto il caffè così almeno ha qualcosa da fare e la smette di fissarmi quando guardo da un’altra parte e crede che io non me ne accorga.
Oggi il suo sguardo sembra ancora più insistente del solito, come se volesse dirmi qualcosa. Spero di sbagliarmi, non ho proprio voglia di parlare.
Sì, credo proprio che le parlerò. Se mi guarda negli occhi lo farò, giuro.
Poggio il caffè con attenzione, abbassandomi leggermente per evitare di rovesciarne un po’ sul tavolo e quando rialzo lo sguardo lui è lì, a guardarmi.
I suoi occhi chiari sono liquidi, vivaci. Mi fissano con uno sguardo indecifrabile, come se provassero… compassione?
Forza, rivolgile la parola. Basta aprire la bocca ed emettere qualche suono, ma fallo. Ora.
“Grazie!”.
“Prego. Desidera anche dello zucchero o del latte?”.
“No, va bene così. Lo prendo liscio. Comunque, io…”.
“Scusi, mi chiamano! Devo tornare di là”.
È scappata di fronte a me come farebbe un topolino di fronte ad una serpe. È sgusciata dietro il banco, quel suo regno dove è la triste regina rinchiusa nel suo stesso castello.
Cara ragazza, troverai mai qualcuno che voglia ascoltare ciò che hai da dire?
E, soprattutto, avrai mai il coraggio di raccontare tutto di te senza riserve?
Bevo il mio caffè con calma, assaporandone il gusto forte, troppo forte, come sempre. Mi è venuta un’idea per il mio racconto, ora so di cosa voglio scrivere: prendo il bloc notes e ci appunto disordinatamente le idee che mi stanno frullando in testa ora.
Nel mio racconto parlerò di una ragazza triste, una giovane dagli occhi grandi che non riesce ad aprirsi con nessuno. Forse però gli farò conoscere qualcuno che le voglia bene veramente, forse finalmente quella cara ragazza troverà il coraggio di sorridere davvero.