Torno a spigolare nella vasta produzione di Alice Munro. Sto rileggendo un racconto della raccolta Il sogno di mia madre, che si intitola Giacarta. A un certo punto l’autrice si sofferma su un litigio fra le protagoniste, due amiche, Kath e Sonje. L’occasione dello scontro è fornita da un racconto di D.H. Lawrence − La volpe − che suscita reazioni emotive di segno opposto nelle due donne. In esso si narra di una coppia in formazione, con l’aspirazione dell’uomo, un soldato, a guidare e dominare la donna, March, che invece oppone una resistenza, perché ‹‹vuole conservare la propria separatezza››, dice Alice Munro – riassumendo il contenuto essenziale del racconto di Lawrence – e così ‹‹sta rendendo entrambi misteriosamente infelici con quello sforzo per rimanere aggrappata alla propria anima e alla propria mente femminili››. E aggiunge: ‹‹Deve smetterla: smettere di pensare e di volere, per acconsentire allo sprofondamento della propria coscienza che andrà sommersa in quella di lui. Come le canne ondeggianti sotto il pelo dell’acqua, che sono vive ma non salgono mai alla superficie. È così che la sua natura di donna dovrà vivere dentro quella maschile di lui. Solo così lei sarà felice e lui forte e appagato. Solo così potranno dire di aver concluso un autentico matrimonio››.
Secondo Kath, ‹‹tutto questo è cretino››.
Diverso è il punto di vista di Sonje, secondo la quale la sua felicità dipende dal marito.
Kath è ‹‹sconvolta›› da questa visione del matrimonio; lei non direbbe mai di se stessa una cosa simile. Eppure le dispiace essere vista dall’amica come una donna ‹‹che ha perso in amore. Una donna che non ha mai preso in considerazione − e alla quale non è stata offerta − la possibilità dell’annientamento d’amore››.
Il racconto, nella seconda parte, subisce una delle accelerazioni tipiche di Alice Munro (per le quali io la adoro). Saltando tutto quello che c’è nel mezzo (che poi ci restituirà con la tecnica del flash-back, come in un film) ci trasporta lontano nel tempo, decenni dopo, facendoci assistere all’incontro fra Sonje e Kent, il marito di Kath. Sono due vecchi, adesso. Le coppie di cui originariamente facevano parte si sono disintegrate. La vita volge alla fine, le energie sono scemate. Dal dialogo affiorano ossessioni e nevrosi tipiche dell’età avanzata. Ma nella spigolatura che vi propongo oggi quello che vorrei mettere a fuoco è la concezione del rapporto tra uomini e donne secondo la quale uno dei due componenti della coppia (la donna, di solito, ma non è detto) deve annientarsi nell’altro.
Roba vecchia, diranno molti. Problemi che nessuno si pone più, non nell’Occidente civilizzato. Non dopo il femminismo.
Io non ne sarei tanto sicura. La tentazione di scambiare il sentimento per fagocitazione dell’altro è sempre molto forte. Si mette sulla confezione di questo autentico veleno una bella etichetta rutilante, che grida ‹‹passione›› e ‹‹amore incondizionato››, mentre gli ingredienti veri sono l’oppressione e la mancanza di considerazione per i sentimenti e le opinioni dell’altro. L’unica vera passione che anima persone di questo tipo è l’omologazione degli altri a sé. Vade retro.
Insomma, io la penso come Kath: ‹‹tutto questo è cretino››.
Rosalia Messina