Si è a lungo parlato del film del regista Paolo Sorrentino. Se ne è parlato perché dopo 15 anni ha ridato all’Italia un oscar per il Cinema, ed in qualche modo la fiducia nelle sue capacità creative.
“La grande Bellezza” sin dalla sua prima proiezione nelle sale ha sollecitato un interessante dibattito culturale forse macchiato da un certo atteggiamento radical chic. A me invece piace pensare a questo film come figlio del Cinema, quindi un concepimento artistico. “L’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità” diceva il filosofo Theodor Adorno e quando l’arte, oltre allo stupore induce a riflettere, non può che inorgoglire il suo creatore.
La grande Bellezza in qualche modo stupisce per la disarmante potenza scenica della città eterna e mette in pratica la lezione del surrealismo, del positivismo e del decadentismo europeo regalando citazioni continue dei maestri di queste correnti letterarie e filosofiche. Scrittori, poeti, artisti che sembrano materializzarsi nei dialoghi dei personaggi surreali e capricciosi che circondano il protagonista Jep Gambardella; a cominciare (per citarne alcuni) da Céline, l’artista dialettico per eccellenza, che mescolando genio e sregolatezza ha svelato gli aspetti più controversi dell società francese salvando ben poco della sua facciata perbenista.
Nelle sue opere il nichilismo e la caduta di valori vengono quasi processati con l’intento di denunciare una deriva senza via d’uscita e il fallimento dell’arte e della letteratura nel loro tentativo di fornire regole alla società borghese.“Potrei, potrei certamente diventarlo anch’io, un vero stilista, un accademico « pertinente ». È una questione di lavoro, un’applicazione di mesi… forse di anni… Si può ottenere tutto come dice il proverbio spagnolo:« Molta vaselina, tanta pazienza, e l’elefante s’incula la formica »”, scrisse in “Bagattelle per un massacro”.
Marcel Proust viene citato da Andrea, un altro personaggio del film quando prununcia : ““Proust scrive che la morte potrebbe coglierci questo pomeriggio. Mette paura Proust. Non domani, non tra un anno ma questo stesso pomeriggio scrive.” Proust trovò consolazione alle afflizioni dell’esistenza grazie ad una poetica della ricerca del tempo perduto. Anche se Céline non trova una risposta alla nullità della vita reale, il suo predecessore trova il vero senso dell’essere e dell’identità nel lirismo di paesaggi e luoghi della memoria e dell’anima.
Ad un certo punto del film il protagonista pronuncia questa frase: “Sono anni che tutti mi chiedono perché non torno a scrivere un nuovo romanzo. Ma guarda ‘sta gente, ‘sta fauna. Questa è la mia vita, non è niente. Flaubert voleva scrivere un romanzo sul niente, non c’è riuscito. Ci posso riuscire io?” Flaubert osservò il mondo, nei suoi romanzi ne smascherò i difetti attraverso una mirabile lezione di naturalismo che avrebbe poi chiuso definitivamente la stagione del romanticismo. In “Madame Bovary”, ruppe gli schemi del passato entrando in collisione con gli intellettuali del suo tempo e con una società tutta chiusa nel bigottismo e portatrice di una morale per lo più affetta da vacuità. Con “l’ Educazione sentimentale” si assiste al tentativo di rivincita sociale di un giovane di umili origini su una aristocrazia ormai decadente; qui i personaggi sono vinti dalla brama di potere e dalla illusione che l’amore possa scardinare qualsiasi ostacolo non sapendo che in agguato agisce sempre l’ambiguità delle azioni umane.
Quando sul finale Jep Gambardella fa riferimento ad un’opera di André Breton (Nadja) pronunciando questa frase: “Chi sono io?”. Così iniziava un romanzo di Breton. Ovviamente nel libro non vi è alcuna risposta…”, mi è sembrato chiudersi il cerchio su una sceneggiatura che in tutti i modi ha cercato di raggiungere uno scopo: completare una ricerca. Questa ricerca di una bellezza fine a se stessa che lascia però la malinconica consapevolezza di tradursi in solitudine.
Nadja è il romanzo in cui Breton tra frammenti fotografici, ricordi sparsi, descrizione di attimi, tenta di dare risposta alla fatidica domanda con cui apre il romanzo “Chi sono io?”; la risposta tuttavia è nella stesa chiosa iniziale qui je hante: chi frequento, chi infesto.
La bellezza, come l’amore, passa per la visione per poi approdare alla conoscenza, ad una introspezione ma se la Bellezza non avrà scosso le proprie percezioni, non sarà CONVULSA, come conclude nel romanzo, non sarà stata vera bellezza o come dice Jep:
“Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c’è l’altrove. Io non mi occupo dell’altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco.”