Il fatto che la Vita in Nietzsche si collochi al centro della sua impostazione teorica contro la Storia, attesta due trasformazioni di ordine filosofico avvenute dopo la frattura del sistema hegeliano: da una parte, la severa critica “neo-illuminista” ad ogni metafisica sistematica; dall’altra, la rilettura della filosofia di Schopenhauer. L’intelletto e la ragione sono modi di manifestazione della volontà di vivere, una forza violenta e arbitraria insita negli uomini e che fa uso di determinati strumenti per imporsi sul genere umano.
Nella Seconda considerazione inattuale, Nietzsche descrive come sia la memoria a differenziare l’umano dall’animale. Il ricordo è il carattere specifico della Storia, ma il dimenticare è la condizione generale della vita. Per l’uomo, la Storia oscilla tra questi due orizzonti, in quanto è condizione di sanità per il vivente il necessario primato della dimenticanza sul ricordo. L’originalità di Nietzsche non sta nell’argomento, di cui si avverte l’influenza implicita dell’opera kantiana, ma nell’impostazione: il suo attacco è diretto agli “uomini sovra-storici”, ovvero coloro che mirano a ciò che è tipico nella Storia e aspirano a una conoscenza pura, non contaminata da interessi pratici, a una conoscenza del sempre-uguale, che rischia di generare nausea. In risposta a ciò, Nietzsche intende la Storia come serva della Vita, e la Vita come principio sovra-ordinario della Storia.
Il rapporto tra la Storia e la Vita è di tre tipi, ognuno da intendersi come tre modi con cui l’uomo si rapporta col passato: monumentale, il ricordo della grandezza; antiquaria, custodire il passato per mantenere la continuità col presente; critica, la condanna del passato in vista di un radicale mutamento.
Al contempo, un eccesso di Storia potrebbe danneggiare la Vita: la grandezza monumentale della Storia rischia di intimidire chi vive il presente, il custodito amorevolmente può soffocare ogni impulso di nuova vita, e la condanna radicale può uccidere ogni certezza.
In aiuto alla Vita, Nietzsche utilizza quello che lui definisce prospettivismo, ovvero la Storia dipende solo dagli interessi specifici dell’uomo e dalle sue condizioni vitali: se l’uomo è intenzionato a creare cose grandiose, si serve del passato attraverso la storia monumentale; chi ama perseverare nel tradizionale, fa uso del passato come antiquario; colui, invece, che non riesce a sopportare la sofferenza del presente, ha bisogno della storia critica per giudicare e condannare.
A questo punto, secondo il grande filosofo tedesco, i veri antagonisti della Vita sono la giustizia storica e il suo ideale di oggettività. Questo antagonismo culmina nell’esigenza della Storia di diventare scienza della Vita: la realizzazione del suo ideale è l’oggettivazione del vivente, la riduzione della Vita a oggetto di conoscenza.
Da ciò, l’attacco alla cultura moderna, definita da Nietzsche come “sapere intorno alla cultura; essa si ferma al pensiero della cultura, al sentimento della cultura, non ne viene fuori una risoluzione della cultura”. Secondo lui non esiste, e non è mai esistita in Occidente, una cultura come processo vivente.
Nietzsche oppone il suo memento vivere: gli antidoti alla malattia storica sono l’antistorico e il sovrastorico, rispettivamente l’Arte e la Religione. Entrambi sono strumenti di stabilizzazione, di rafforzamento della vita attuale, e indispensabili se si vuole un rapporto sempre fecondo con la Storia. La giustizia storica è una virtù ostile alla vita, e ad essa si contrappone l’oggettività storica, la Vita che rende ad oggetto la Storia, la manipolazione del passato nella composizione di un oggetto di nuova creazione. La potenza creativa del memento vivere consiste nell’innalzare la Vita sulla Storia, come dominatrice della conoscenza e della scienza. Non deve esistere una Scienza della Vita, ma solo una Scienza per la Vita, che possa servirla e non renderla un puro capriccio conoscitivo, dato statistico o mero susseguirsi di atti di cronaca, un intricato gomitolo di teorie sulla sua dimensione naturale e temporale.
Il pensiero di Nietzsche è il primo tentativo di una filosofia del vivente. La conoscenza e ogni sua forma in generale vengono subordinate alla Vita. Per come la intende il filosofo tedesco, essa è molto vicina all’Arte: essendo per natura indeterminata, non può essere che colta intuitivamente, e rappresentata da un ibrido di entusiasmo poetico e immaginazione trasfigurante, tema, tra l’altro, molto caro ai Romantici.
Per la prima volta, dai toni più marcati e violenti, la Vita risulta essere il vero problema della Filosofia.